«Signora, ci sono 26 milioni di dollari e lei può essere indicata come beneficiaria». Alzi la mano chi non sognerebbe di essere il destinatario di una comunicazione del genere. Infatti, è un bel sogno. O meglio una bella truffa, andata in scena ai danni di una signora residente in un centro della Val Bormida che, per sbloccare il fantomatico tesoro, ha versato diverse somme a favore di S.O., straniero, residente in Lombardia. Il processo si è appena aperto a Mondovì.
Oggi queste truffe sono conosciute come “scam”. Iniziano con una comunicazione che arriva via internet, la giungla delle frodi di oggi. Alcuni mesi fa la donna si vide recapitare un messaggio scritto (via Skype) dai toni altamente professionali: il mittente si presentò nientemeno che come il direttore della sede di Dubai di una nota banca inglese con nome, cognome, titolo e contatto. Nel messaggio, piuttosto lungo, scrisse alla signora che negli Emirati Arabi era tragicamente deceduta una persona che aveva il suo stesso cognome e le sue stesse origini. Inaspettata la tragedia, inaspettata la fortuna: quella persona avrebbe lasciato un conto bancario da 26 milioni e 700 mila dollari, approssimativamente 24 milioni di euro. Un tesoretto bloccato in banca per cavilli burocratici, aggirabili se fosse stata proprio lei a presentarsi come la beneficiaria. Il bancario le proponeva l’affare (dividersi il 50% a testa) e le lasciava tutte le informazioni per procedere: sul caro estinto milionario (nome e cognome), sulle sue ricchezze (accumulate su un deposito fisso e trattenute da altri funzionari) e su cosa fare per sbloccare il denaro. Tutte le procedure, guarda caso, erano a pagamento: versare 9 mila dollari in favore di un certo avvocato tramite Western Union e circa 750 sterline per spese diplomatiche e consolari, con tanto di numero di telefono inglese (poi rivelatosi fittizio) e indicazione dei relativi certificati europei.
Troppo bello
per essere vero
Tutto questo per intascarsi 12 milioni di euro, pressappoco. Una bella somma… peccato fosse tutto finto. Tutto tranne il denaro che la donna, ingannata, ha iniziato a pagare per avviare la pratica, versando alcune migliaia di euro su una carta postepay. Quando la signora ha capito di essere stata truffata, si è rivolta ai Carabinieri per fare denuncia. Qui partirono le indagini che, grazie al numero della postepay, risalirono a S.O., oggi imputato a Mondovì (giudice Alice Di Maio, pm Alessandro Borgotallo). Al termine della prima udienza, l’avvocato difensore ha sollevato un’istanza, sostenendo che il processo avrebbe dovuto essere trasferito al Tribunale di Lodi per questioni di competenza territoriale. Il giudice si è riservato di pronunciarsi nel merito. Truffe di questo genere, molto ben “confezionate”, sono purtroppo all’ordine del giorno. Resta valido l’avvertimento di sempre: quando qualcosa appare troppo bello per essere vero… esso è esattamente così: troppo bello per essere vero.