«La donna è come il lupo: robusta, piena di energia, di grande forza vitale, capace di dare la vita, leale, errante» (“Donne che corrono con i lupi”, Clarissa Pinkola Estés)
Imprenditrici, lavoratrici, studentesse, insegnanti, con incarichi pubblici, nel volontariato, nello sport. Donne. Giovedì è l’8 marzo, ed è la Giornata internazionale dei diritti delle donne. Noi la chiamiamo genericamente “Festa della donna”, ricorrenza che a volte si sintetizza con una mimosa e una cena al ristorante. C’è di più, ci deve essere di più. Lo abbiamo chiesto a loro, a tante di loro. Di tanti ambiti diversi.
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Cantante, pianista, chitarrista, percussionista. E chissà che altro: Jolanda ha imparato a suonare strumenti che molta gente non sa nemmeno che esistono. Jolanda, 33 anni, voce e anima del progetto “She Owl” (gufo femmina) assieme a Paolo Bessè, è nata a Mondovì ma oggi gira il mondo con la sua musica, a cui ha dedicato la sua vita.
Nel corso della storia della musica i modelli di artiste donne sono stati pochi e spesso stereotipati. Oggi sta cambiando qualcosa?
Nel sottobosco è in atto un vero e proprio movimento, una scena, fatta di donne musiciste che si stanno prendendo i palchi. La presenza nei festival di musiciste donne è molto ridotta, si dice sia del 20%. Oggi è nata questa piccola rivoluzione, ma senza intenti “antagonisti”: non è una lotta di musicisti donne contro musicisti uomini, è semplicemente qualcosa che sta accadendo. Nel 2015 io ho organizzato un festival di musiciste negli Stati Uniti, nel 2016 l’ho replicato in Germania... e nel frattempo ho visto nascere eventi simili un po’ ovunque. Quindi, per rispondere alla tua domanda: sì, sta cambiando qualcosa.
Anche dal punto di vista del pubblico c’è una diversa “apertura”, in questo senso? O il pubblico chiede comunque uno stereotipo?
Non ho mai pensato alla “donna musicista” come a qualcosa di diverso da... un musicista. Prendiamo un’artista come Patty Smith: la sua femminilità emergeva eccome, magari non dal suo look ma dalle sue parole. Io penso che il pubblico, oggi, sappia finalmente apprezzare una donna musicista in quanto musicista e basta. Purtroppo, però, per tutta la storia della musica è stato “venduto” il messaggio che fosse l’uomo quello a stare sul palco a suonare, come se la donna non fosse in grado di gestire uno stage. Eppure, ripeto, c’è una scena enorme che oggi sta dimostrando che non è così.
Non temi il rischio di una “ghettizzazione” di questa scena? Una sorta di... “8 marzo al contrario”: la donna usata in una band come fosse uno strumento, per seguire il filone?
Il rischio c’è. Non nel mio caso, direi, visto che la mia musica nasce da me. Ma esiste questo rischio, soprattutto in Italia, dove vedo che stanno nascendo appunto delle “serate a tema”, ghettizzandole come dicevi tu: locali che il lunedì fanno esibire solo artiste donne... come se fossimo una cosa diversa, una specie a parte.
Rompo la regola delle tre domande e te ne rivolgo una quarta “marzulliana”: ti definisci una donna musicista o una musicista donna?
Ahaha, non saprei... aspetta, ti rispondo così: una donna-gufo!
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