Esiste un mondo in cui i vinti possono affrancarsi dall'ineluttabilità del proprio destino e risorgere? Se qualcuno risponde affermativamente alla domanda probabilmente non è uscito dalla visione di Dogman, l'ultimo film di Matteo Garrone, presentato al Festival di Cannes dove ha riscosso dieci minuti di applausi alla prima proiezione e dove l' attore protagonista, Marcello Fonte, ha ottenuto il "Prix d'interprétation masculine"; un film che racconta una storia di violenza e prevaricazione.
A più riprese e da più punti di vista stiamo assistendo ad un lento sgretolarsi dei valori fondanti della nostra società, basati sul'Illuminismo; intelaiatura di questo sistema di valori era che attraverso il libero arbitrio l'umanità aveva la possibilità di "redimersi" e di trovare una forma di riscossa. Il film di Garrone incarna al contrario i tempi in cui viviamo, e lo fa non tanto per seguire una moda, ma - un po' come già avvenuto in precedenti suoi film, dall'Imbalsamatore a Reality - attraverso uno sguardo sul mondo che è ben più edulcorato di quanto la realtà stessa a volte possa riportare.
In questa sorta di "western" dove la frontiera è quella di una periferia abbandonata non c'è happy ending e non c'è redenzione, si è mediocri, si è poveri, si spaccia, si subisce violenza, ma non si cambia, anzi si peggiora. La bellezza del film sta nell'emozione che questa discesa agli inferi porta con sè; si parteggia per buona parte del film per il protagonista, vessato - con la forza - da un antagonista apparentemente peggiore di lui, ma il finale rivela una natura inaspettata: l'oppresso non vuole una vita migliore, cerca solo un modo per fuggire ad un infausto destino, con qualsiasi mezzo possibile. E nel suo errore troverà ciò a cui è destinato chi è vinto, la solitudine. Non c'è un buono in questa storia, tutti sono toccati da un mesto assoggettamento alla viltà ed ai soprusi e tutti, chi più e chi meno, sono disposti a scendere a compromessi.
In una provincia romana che assomiglia molto di più alla Casal di Principe di Gomorra che non alla "vecchia" Magliana (in cui si svolsero realmente gli atti del Canaro), Garrone rappresenta una storia di struggente dolore che è violenta non solo per le immagini mostrate, ma per ciò che non si vede e che si avverte, il senso di abbandono a cui i vinti vengono lasciati e da cui difficilmente, se manca un aiuto esterno, si riesce ad uscire.
Il trailer del film distribuito nelle sale