Stranger Things 2: cose sempre più strane.

Arrivato in questi giorni su Netflix l'atteso sequel di "Stranger Things", una delle serie principali del network online.

"Stranger Things" è da sempre una delle serie Netflix per eccellenza. La prima è apparsa l'anno scorso, nel 2016, prodotta direttamente dalla piattaforma di streaming, e ha subito ottenuto un'ottima accoglienza da parte del pubblico. Come molti prodotti di questi tempi, sfrutta radicalmente il meccanismo della nostalgia anni '80, rivolgendosi al pubblico di 30-40enni di oggi che possono riscoprirvi molti rimandi ai classici della loro infanzia e adolescenza. Già la grafica del titolo rimanda a quella di molti libri fantasy-horror del periodo, in primis quelli di Stephen King; e anche il titolo stesso, "Cose più strane", pare quasi riecheggiare "Cose preziose" ("Needful Things" in originale), un grande classico kinghiano ambientato in una delle sue cittadine di provincia terrificanti, Castle Rock.

Ad Hawkins (omaggio a Stephen Hawking, che ha teorizzato fratture spazio-temporali simili a quelle che appaiono nella serie?), la cittadina dove vivono i ragazzini protagonisti, l'orrore nasce dagli esperimenti tenuti in un centro sperimentale del governo, che apre un contatto con una dimensione parallela inquietante, un mondo rovesciato (il "Sottosopra") all'apparenza identico al nostro, ma dominato da demoni terrificanti. Saranno proprio i giovanissimi protagonisti a dover affrontare l'orrore, aiutati solo in seconda fila dai teenager più cresciuti e dagli adulti che accettano di vedere l'orrore.

Questo approccio infantile all'horror - classico spunto per renderlo più inquietante - ricorda altre cose del maestro del Maine, come "It" (di cui è uscito da poco nelle sale un nuovo adattamento cinematografico che molti, circolarmente, hanno avvicinato appunto a questo telefilm), ma anche come "Stand by me" per la dinamica dei rapporti tra preadolescenti. Il tipo di orrore cosmico che viene messo in scena, invece, al di là della costante e apprezzabile citazione di Dungeons and Dragons, rimanda - ancor più in questa seconda serie - direttamente agli orrori cosmici di un altro maestro americano, H.P. Lovecraft. Nei punti più riusciti, infatti, la serie riesce davvero a creare quella sensazione che l'orrore non sia un episodio casuale poi ricondotto alla normalità dagli eroi, ma che l'apparente serenità di questa provincia quieta (Castle Rock, Derry, Hawkings...) sia una piccola isola di bene in un oceano di male.

Perfino la nostra Mondovì non sfugge a questa dinamica, e come ricorda lo scrittore Silvano Gregoli nel suo "E laggiù Mondovì", può capitare nottetempo di sentire i colpi di un diavolo - metaforico o meno - che batte da qualche remota frattura dimensionale.
Come afferma infatti Lovecraft nella sua più celebre citazione, "Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d'ignoranza in mezzo a neri mari d'infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che finora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arrecato troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d'insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occupiamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo."

In questa seconda serie tale elemento diviene più esplicito: ma in generale, tutto è amplificato e ingigantito, seguendo del resto un'estetica, anche qui, propria dei vecchi film anni '80 e dei loro sequel. Al posto di un mostro decine di mostri e un supermostro; alla ragazzina esper controllata dal governo si aggiungono due altre terribili "lost girls" ad ampliare il cast femminile; e se il bullo passa - più o meno - nella squadra dei buoni di fronte all'orrore cosmico (perdendo un po' di smalto come personaggio), arriva un super-bullo ancora peggiore di lui.

Su tutto, aleggia ancor più evidente lo spettro del complottismo americano, qui usato ovviamente come materiale narrativo, con più di un rimando a famigerati progetti segreti come il Progetto Mk-Ultra, speculazioni ipertrofiche su progetti realmente esistiti, tra anni '50 e '60, per lo studio di possibili applicazioni belliche e spionistiche di vari tipi di droghe e sostanze psicotrope. L'episodio più contestato dai fan "tradizionalisti", l'episodio 7 (un excursus fuori dal filone principale della serie in senso stretto), si ricollega del resto a un celebre fumetto supereroico-complottista come "Invisibles" di Grant Morrison, di cui riprende la struttura narrativa, e che cita anche in citazioni per fan nei graffiti del palazzone industriale in rovina dove è ambientato. Negli "Invisibles", con un rimando a teorie gnostiche, si lascia intendere che il nostro mondo potrebbe avere solo natura illusoria, essendo in realtà solo una prigione dominata da demoniaci arconti: vedremo nella terza stagione - presumo inevitabile - quanto questo elemento verrà ad incidere.

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