Quando si parla di terrorismo, oggi, i ragazzi scattano subito: "si tratta dell'Isis, ovviamente!". Ma c'è stato un periodo in cui l'associazione spontanea non sarebbe stata quella: un periodo che è in fondo il nostro altro ieri, ma che ormai abbiamo dimenticato - o, per le nuove generazioni, mai conosciuto. Parliamo, ovviamente, degli anni '70, quel periodo che introduce l'età postmoderna, della terza rivoluzione industriale, con un passaggio che in Italia fu particolarmente duro e combattuto: i famigerati "anni di piombo", di cui si parla molto ma si studia poco, sommersi dall'ondata degli "anni di fango" (Montanelli) di Tangentopoli e della sua successiva caduta.
E in questa decade più oscura di quanto si crede (nei due sensi: terribile e poco conosciuta) va a scavare Perissinotto, docente universitario di ambito storico presso l'ateneo torinese. Perfino i suoi allievi, studenti universitari, hanno presente le Brigate Rosse, ma si perdono quando si tratta di parlare del pulviscolo di gruppuscoli minori che costellavano quegli anni. Tra questi, Perissinotto indaga qui Prima Linea, tornando sul tema di un "passato che non passa" già trattato ne "Le colpe dei padri" ("autoplagiatore seriale", secondo gli hater online, che l'autore cita con gusto). Di questo lo scrittore ci ha parlato martedì 12 settembre lo scrittore torinese, a Mondovì Breo, presso la libreria Lettera 22, presentando il suo ultimo romanzo, "Quello che l'acqua nasconde", un viaggio profondo nell'oscurità degli anni '70, tra terrorismo e psichiatria.
Perissinotto quindi va a intersecare il filone del terrorismo con un altro grande tema che percorre sottotraccia i '70: quello della psichiatria e della battaglia per l'abolizione dei manicomi (con la pur discussa Legge Basaglia) e di trattamenti disumani nei confronti dei malati psichiatrici. Un accostamento, terrorismo e psichiatria, che ha fatto storcere il naso ad alcuni, ma che per Perissinotto identifica un importante asse del conflitto di quell'epoca: da un lato il rifiuto radicale del sistema di Prima Linea (non a caso la loro distanza dalle BR è la programmatica "dissoluzione del potere" più che una sostituzione), dall'altra gli ultimi orrori dell'"istituzione totale" (Michel Foucault, nella sua monumentale "Storia della follia") del carcere psichiatrico (la malattia mentale finiva sulla fedina penale, come un reato). I due sistemi si scontrano nel caso di Villa Azzurra, un processo agli orrori dell'"elettromassaggio" (un elettroshock a basso voltaggio, che quindi non stordisce il paziente e qui usato come forma di tortura).
Il medico responsabile degli abusi, definito "l'elettricista", viene condannato da un processo dove per la prima volta testimoniano in Italia i malati psichiatrici, ma è assolto per un vizio di forma. Tuttavia, in attesa di un nuovo giudizio, viene assassinato dai terroristi, ostili alla psichiatria come strumento di "normalizzazione" della devianza. Un intrico, quindi, denso e cupo, un groviglio di contraddizioni che forma lo sfondo delle vicende finzionali del romanzo, in cui non è più possibile decifrare una oleografica bipartizione tra buoni e cattivi. La storia, afferma Perissinotto, è come un ventaglio: se chiusa tra poche date simbolo, ci appare tutto sommato comprensibile. Ma se apriamo il ventaglio, studiandola a fondo, appare un arabesco ben più complesso, che spesso ci lascia nella vertigine di non saperlo decifrare.