Christophe Guida e la voce delle cattedrali.

L’organista francese, titolare di una cattedra al conservatorio di Marsiglia, porta in giro per l’Europa il suo programma dedicato al romanticismo d'oltralpe. Domenica 25 maggio ha suonato nella Chiesa di San Pietro e Paolo di Mondovì Breo, per il calendario di Mondovì Musica.

Ascoltare dal vivo il suono di un organo è un’esperienza che tutti hanno fatto almeno una volta nella vita. Basta in genere varcare le soglie di un santuario, di una vecchia cattedrale o anche di una chiesa parrocchiale nelle ore giuste, magari durante una funzione, per imbattersi nel cristallo dei suoi registri più flautati o nel rombo di quelli più possenti, su cui si appoggia e si amplifica la voce del coro dei fedeli. In questa funzione di appoggio e guida della liturgia, ci è familiare: non a tutti però è capitato di viverlo nella sua natura più precipua di strumento musicale e di sentirne dispiegate a pieno tutte le potenzialità. Incastonata nella pietra delle nostre chiese, respira una piccola orchestra sinfonica, dalle possibilità pressoché infinite; una macchina capace di tirare fuori dalla sua selva di canne metalliche suoni stravaganti, celestiali, sottilissimi, o voci fragorose, tonanti, dal volume e dalla densità raramente eguagliate da altri strumenti musicali. L'esperienza di ascolto di un concerto organistico, inoltre, ha caratteristiche uniche e particolari, rispetto ad altri contesti di fruizione musicale. L’organo è parte integrante dell’ambiente in cui si esprime, specie se è lo strumento storico di una chiesa. Le note che escono da canne e somieri risentono, per forza di cose, dell’acustica e del riverbero naturale delle navate, giungendo alle panche dei fedeli ovattate, impastate in una specie di foschia sonora che, a seconda dei casi, può attenuare la nettezza della linea melodica. Anche per questo gioco di risonanze l'organo è, nell'immaginario collettivo, uno strumento notturno, romantico, misterioso e, talvolta, tenebroso. È veramente la voce della cattedrale, visto che quando suona, specie nelle sue voci più ricche e voluminose, l'intera struttura dell’edificio risuona insieme a lui e il suono finale ne è inevitabilmente influenzato. Anche a questa particolarissima proprietà è riferito il titolo del concerto che l’organista francese Christophe Guida sta portando in giro per l’Europa, Cathédrales, e che ha fatto tappa domenica sera a Mondovì, nella Chiesa dei santi Pietro e Paolo. Attraverso cinque compositori del romanticismo francese Guida (organista titolare della basilica del sacro Cuore di Marsiglia, della collegiale di Santa Marta a Tarascona e professore al conservatorio di Marsiglia), conduce l’ascoltatore in un viaggio nell'anima musicale delle cattedrali, esplorandone tutte le sfumature del suono, facendone vibrare le fibre più profonde, facendo cantare, attraverso le finezze di queste composizioni, la loro voce più autentica. Va subito detto che non è stato un concerto semplice da ascoltare, presupponeva orecchie già avvezze ad addentrarsi in un certo tipo di discorso compositivo, seguirne la complessità musicale e districarsi tra soluzioni armoniche a volte spigolose. Generalmente si tende ad associare al suono dell’organo la limpida pulizia del contrappunto barocco, le architetture complesse ma nette e cristalline di Johann Sebastian Bach e gli accordi ricchi di trascendenza delle messe e dei corali. I sei pezzi scelti da Guida, al contrario, erano pezzi d’arte profana, tipicamente romantici, che perseguivano decisamente altri scopi. In particolare l’ouverture, con la trascrizione della famosissima Cathedrale Engloutie di Debussy ha spiazzato buona parte degli ascoltatori monregalesi. Probabilmente il musicista l’ha scelta per aprire la serata con un pezzo più familiare al pubblico e dalle difficoltà tecniche meno impervie, con cui scaldarsi le dita prima di eseguirne altri più faticosi e complessi. Il brano però, con le sue forme chiaramente non organistiche, ha lasciato piuttosto perplesso il pubblico: l’acustica ricca di riverbero della parrocchia monregalese tendeva forse a impastare un po’ troppo le masse accordali mosse dalle dita di Guida. Chiaramente è proprio lì, nel fluttuare dei suoni, che aleggiano gli uni sugli altri creando un gioco di ambiguità tonali e suscitando suggestioni di vaghezza, che respira il gioco compositivo dell’autore. Se, tuttavia, sul pianoforte, con il caduco suono delle corde lasciate libere di vibrare, acquista un morbido effetto subacqueo, nell’ambiente di sabato la cathédrale di Debussy è parsa decisamente troppo Engloutie. Tant’è che al termine del brano è seguito un silenzio raggelante. Non tanto perché l’esecuzione avesse disatteso le aspettative (anzi) ma piuttosto perché il pubblico, disorientato dall'insolita forma della composizione, non ha compreso quando fosse il momento di battere le mani. Tuttavia, alle prime note del terzo corale in la minore di Cesar Franck, gli astanti hanno ritrovato un terreno familiare. Il lavoro si è aperto con una serie di terzine vertiginose, seguite da un accordo crescente, sul modello del più celebre brano organistico di sempre, la Toccata e fuga in re minore di Bach, e con la medesima configurazione di registri, orientata verso toni solenni e forti. Un brano dal lirismo molto passionale, che andava a esplorare tutte le dinamiche e le possibilità espressive dell’organo, anche nelle sue voci più particolari, come la vibrante "celeste" o il nasale "oboe".

Seguiva il primo dei due brani di Louis Vierne previsti dal programma, Clair di Lune. Si tratta di uno dei 24 Pièces de fantaisie pubblicati dall’autore nel 1926, una pagina particolarmente evocativa, soffusa, affidata per lo più ai toni leggeri del "flauto". Il quarto brano, il Preludio e fuga sul nome di Alain, scritto da Maurice Duruflè (allievo del sopraccitato Vierne) si è rivelato uno dei brani più genuinamente spettacolari. Aperto da una sezione di virtuosismo funambolico, affidata a una voce dalle dinamiche medio basse, si sviluppava in un continuo crescendo per poi culminare nella tonante fuga finale, in cui i registri dell’organo si univano tutti insieme in un fragoroso fortissimo. Si apriva con le stesse voci ruggenti anche l’Allegro della sesta sinfonia di Charles Widor, organista maestro di Vierne (ed ecco che con il trittico Duruflè – Vierne – Widor, Guida ha saputo offrire al pubblico uno scorcio in grado di abbracciare ben tre generazioni diverse di compositori e organisti, dalla metà dell’Ottocento al Novecento). Tutto questo pezzo è caratterizzato da toni magniloquenti e maestosi. L’ultima composizione in programma era ancora di Vierne, un’altra fantasia: Cathédrales. Anche questo era un brano molto suggestivo per gli ascoltatori, quasi descrittivo, direi. Era aperto da un morbido movimento delle voci, che parevano emergere lentamente dal silenzio, per poi proseguire in una sezione dalle atmosfere gotiche, un po’ sinistre. La composizione si sviluppava con l’incedere di possenti accordi, enormi masse sonore compattissime, che sembravano avanzare come pachidermi verso l'ascoltatore, stagliandosi con la loro sagoma immensa sull'orizzonte armonico di un pedale di basso, per poi scomparire come d'incanto, lasciando il posto a una sottile nebbia di minime e semiminime, che andavano gradualmente ad assottigliarsi e spegnersi, come le ultime scintille di un maestoso ed abbagliante fuoco d'artificio. Per il gran finale il maestro ha concesso un bis, una libera improvvisazione, in cui ha ampiamente giocato con i registri e le combinazioni di voci che lo strumento poteva offrire, regalando al caloroso pubblico intervenuto un finale pirotecnico e divertente.

Fotografie di Luca Castiglione.

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