Metallica: la campana non è ancora suonata

Il ritorno a Torino nel “Cliff’s Day”. E sì, parliamo anche di Vasco Rossi

Metallica
Torino, Pala Alpitour - 10 febbraio 2018

Si ringrazia infinitamente LORIS BRUNELLO per la foto pazzesca che trovate in testa a questo report

Diciamocelo: scrivere un report di un concerto dei Metallica, è un casino. È sempre un casino. Perché poche altre band nella storia del rock hanno raggiunto livelli così alti, per poi deviare di brutto dal percorso e sbriciolare i loro fan storici.

È un casino, specie se sei un fan del rock vero. E peggio che mai se sei un fan dell’heavy metal.

I ‘Tallica. Quelli che una volta chiamavamo i "Four Horsemen", dal nome di una delle loro canzoni spaccaossa più celebri dell’esordio “Kill’em All” (1983). Quelli che negli anni ’80 portarono l’heavy metal a livelli di notorietà impensabili per l'epoca, "là dove nessuno l’aveva mai portato" (e dove nessuno l’avrebbe mai più portato: né i britannici Iron Maiden, tanto per citare l'altro nome mastodontico del genere, né tantomeno altre band thrash metal made in USA come i loro eterni fratelli-e-rivali Megadeth)… per poi gettarlo alle ortiche.
E rinnegarlo completamente qualche anno dopo, con parole che suonavano più o meno così: «Ma sì... in fin dei conti, noi non siamo mai stati davvero una band metallara».
Maledetti.

I Metallica. Ecco: quelli lì (o quel che ne resta), erano a Torino il 10 febbraio 2018.

Peraltro, il 10 febbraio non è nemmeno una data qualsiasi per i Metallica, per la loro storia e - dunque - per i loro fans. Il 10 febbraio è il “Cliff’s day”: il compleanno del loro prima bassista Cliff Burton, morto il 27 settembre dell’86 nel tour di “Master of Puppets”. Una tragedia su cui gli ascoltatori dei Metallica hanno speso (e spenderanno) miliardi di parole, considerandolo un vero e proprio giorno-X, uno spartiacque tra il primo ciclo di vita della band, quello più straordinario, e tutto quello che venne dopo. Un giorno fatale, in tutti i sensi, che chiuse un'era e ne aprì un'altra.

Insomma, il 10 febbraio è una data speciale. E tutti si aspettano uno show un po’ speciale. Lo è stato? Sì, alla fine lo è stato. Dopo ne parliamo a fondo, ma intanto ecco un video che serve subito a far capire di cosa stiamo parlando, così mettiamo le cose in chiaro:

Ah, già, poi c’è quell’altra cosa: la mini-cover di Vasco Rossi. Parliamo anche di quello.

REPORT

Il PalaAlpitour era pieno fino all’ultima seggiola e fino all’ultimo metro quadro del parterre. Palco centrale visibile da 360 gradi, batteria montata su un piattaforma girevole, otto microfoni a ogni angolo dello stage. Cubi-monitor sospesi in aria, effetti luci con droni, burner e tutti quello che i Metallica sanno che ci vuole per fare uno SHOW che oggi non vedi tanto spesso. C’entra poco? No: perché oggi i Metallica sono questa roba qui, facciamocene una ragione.
Andare a vedere i ‘Tallica pensando di essere ancora nel 1988 e cercare l’heavy metal puro, è inutile e sciocco.
Godiamoci il live di una band rock con un’aura da concerto pop.

I quattro partono tiratissimi: “Hardwired”, opener dell’ultimo disco. Aspetti il finale per sentire se Lars riesce davvero a eseguire live quei 30 secondi di tappeto di doppia cassa, ma… nada. O i volumi non lo aiutano, oppure no, non la fa. Si prosegue con “Atlas, rise!”, poi James Hetfield saluta i fans con la frase che tanti volevano sentire: «Tonight we play new songs… and old songs». Attacca un riff datato 1983 che chi conosce i Metallica riconosce in tre decimi di secondo, “Seek and destroy”. Boato.

La canzone dopo è “Leper messiah”, altro boato. Quella dopo ancora è “Sanitarium” – e qua chi scrive ha pensato: ok, ne manca ancora una poi posso dirmi felice qualunque cosa succeda. Quell’una arriva dopo un altro dittico dall’ultimo disco (“Now that we’re dead” con siparietto percussionistico, “Spit out the bone”) ed è “For whom the bell tolls?”.
Che cosa volete dirgli?
Tutto scontato, tutto trito e ritrito. Ma queste sono canzoni che hanno segnato la storia del genere che (all’epoca) i Metallica rappresentavano.

Da qui in poi, è puro compitino. Casomai serva a qualcosa sottolinearlo: James la voce la usa come può, Kirk Hammet negli assoli non ha più nessuna precisione, Lars inciampa sul metronomo come un ubriaco in una corsa a ostacoli. I Metallica si scordano completamente tutta la loro discografia recente: nemmeno una canzone da “Death Magnetic” o “St Anger” (e va tanto bene così), nulla da “Load” e “Reload” con la sola eccezione di “The memory remains”.

A un tratto, i quattro posano gli strumenti e scendono tutti giù dal palco. Le luci si abbassano e i monitor cominciano a proiettare le immagini del film “Johnny got his gun”, mentre dalle casse si odono rumori di mitragliatrici, pale di elicotteri in volo ed esplosioni di bombe. Certo, arriva “One”. La chiusura, infine, è quella canzone, quella che deve arrivare: “Master of puppets”. Col suo riff, il suo assolo leggendario, la sua risata finale. Nel ritornello - MASTER! - urlano anche le sedie.

Pausa. La band esce dal palco, si aspettano i bis.
Ed è qua che arriva la piccola magia.

Perché tutti si aspettavano subito una scontatissima “Enter Sandman”. E invece, no - ricordiamoci che è il 10 febbraio, il “Cliff’s day”. Già a metà concerto, quando Trujillo aveva eseguito l’assolo “Anesthesia” coi monitor che proiettavano le foto dell’indimenticato bassista, c’era stato un accenno. Ma credo che nessuno, ma proprio nessuno, si aspettasse questo: “Orion”. Una gemma.

E poi, il finale: “Nothing else matters”, “Sandman” e tutti a casa.

Quella roba su Vasco Rossi (reprise)
Ah, già. Vascorossi.
Sì, è tutto vero. Avevano appena chiuso “Halo on fire”. Hammett e Trujillo sono rimasti on stage, mentre Hetfield e Ulrich si sono ritirati a prender fiato. Quando Rob si è avvicinato al microfono, io credevo fosse uno scherzo: «Do you know Vasco Rossi?». Macché, era vero. Parte con “C’è chi dice no”. Che è successo? È successo che quasi tutti hanno sorriso. Qualcuno, lì in mezzo, ha anche cantato.
Perché i Metallica hanno fatto 'sta roba? Ah, semplice: perché in questo tour hanno scelto, in ogni Paese, di dedicare un piccolo siparietto dedicato alla musica indigena. In Spagna, hanno coverizzato i Baron Rojo. Qua, in Italia, che cosa vi aspettavate? È evidente che gli sia stato suggerito di fare Vasco. Mi spiace che molti l’abbiano presa male. Io ho sorriso.

In sintesi?
In sintesi, sono i Metallica. E i Metallica sono un pezzo di storia del rock... con qualche - piccola, piccolissima - reminiscenza di heavy metal.
Questi sono i Metallica oggi. Ma sono così da oltre 20 anni, eh. Non dimentichiamoci che  ne sono passati 22 da quel famigerato disco, “Load”, con cui hanno chiuso i conti col metallo, tra lacrime dei fan e lettere di tradimenti. Resta il senso di un concerto rock-quasi-pop, in cui però chi suona sa ancora distribuire un’energia pazzesca. Un carisma, una carica, un tiro tutto loro.

Sono i Metallica, ragazzi. Sono quattro consumatissime rock star, datate e un po' stanche, ma ben consce del fatto che lì sotto al palco c’è gente (come me) che su “For whom the bell tolls?” si è slogata gli arti così tante volte che nemmeno se lo ricorda.
Loro ci marciano, noi glie lo perdoniamo.

MOMENTO TOP. Orion”, senza dubbio. La strumentale più bella della band, una delle più magiche di tutto il metal. Come si fa a non piangere?

MOMENTO FLOP. La tiritera di Hetfield sull’unità metallara che si tramanda anche di padre in figlio: non sei più credibile, James.

Si ringrazia infinitamente LORIS BRUNELLO per la foto pazzesca che trovate in testa a questo report

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