Risonanze poetiche: Claudio Damiani e i cieli della poesia.

Claudio Damiani è il poeta con cui si apre "Risonanze poetiche" una galleria di ritratti delle voci più interessanti della poesia contemporanea italiana, con particolare attenzione al complesso e affascinante rapporto tra il suono e la parola. Nel 2016 il suo spettacolo teatrale "Cieli celesti" è diventato un libro, edito da Fazi editore.

di VALENTINA COLONNA

Claudio Damiani, nato a San Giovanni Rotondo, vive nei pressi di Roma. Ha pubblicato, in poesia: Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994), La miniera (Fazi, 1997), Eroi (Fazi, 2000), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006), Sognando Li Po (Marietti, 2008), Il fico sulla fortezza (Fazi, 2012), Ode al monte Soratte, con nove disegni di Giuseppe Salvatori (Fuorilinea, 2015), Cieli celesti (Fazi, 2016). Per il teatro ha scritto: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013). Ha curato inoltre i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (L'Attico, 1992), Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995), Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000). Per la saggistica, di recente pubblicazione sono: La difficile facilità. Appunti per un laboratorio di poesia (Lantana, 2016) e L'era nuova. Pascoli e i poeti di oggi a cura di Andrea Gareffi e Claudio Damiani, (LiberAria, 2017). Tradotto in diverse lingue, è presente in molte antologie italiane e straniere ed è sicuramente una delle voci più note e rappresentative della poesia italiana contemporanea.

E alla fine me ne sono andato da solo

lasciando tutti, camminavo su una stradina

che si faceva sempre più piccola

il cielo prima era grigio poi era diventato bianco

chiaro azzurro e il sole brillava nel cielo

l’aria era fresca e chiara, era una mattina di inverno

e io camminavo da solo.

Il sentiero non c’era più

e io continuavo a camminare

l’aria era fresca, cara

e io la respiravo tutta.

Il monte, il cielo, le nuvole

erano fuori di me e anche dentro

e non c’era altro che questi cespugli poveri

con i loro frutti radi, nell’aria trasparente.

***

L’aria tenera della tua bocca

la respiro a pieni polmoni,

ti respiro dentro nel corpo

fin dentro l’anima, cielo.

***

Da questa distanza, dove sono,

il caro mio sole lo posso guardare e baciare,

guardarlo poco, come di sfuggita

per brevi istanti, come il vero amore,

guardarlo solo appena per poter vedere che c’è

ma senza posare gli occhi su di lui,

posarli invece sulle cose che illumina

e sentirlo sulla pelle che ti accarezza e ti bacia,

ti copre dei suoi baci e ti avvolge tutto.

(da Cieli celesti, Fazi Editore, 2016).

Cos’è per te la musica della poesia?

Penso che la musica della poesia sia qualcosa che più che con la musica ha a che fare con la poesia. Si potrebbe anche dire che c’è una poesia della musica, una musica più o meno poetica, proprio allo stesso modo di una poesia più o meno musicale. Le arti sono sorelle, specialmente quelle belle, però come tutte le sorelle hanno individualità diverse.

Per la poesia la musicalità sta anzitutto nella lingua. L’italiano in quanto lingua molto vocalica, e poi per come è fatta proprio, per tutte le sue tante caratteristiche, è sempre stata considerata da tutti (più gli stranieri che noi, che tendiamo ad accorgercene poco) una lingua estremamente musicale. Adorando io la lingua italiana, e avendola sentita sempre come una lingua trascurata, se non addirittura vilipesa, comunque abbandonata, ho sempre adorato la sua musicalità, sia nell’incomparabile forza melodica, sia nella non meno sorprendente poca ritmicità, nel suo scorrere pacato e salmodiato come quello di un ruscello luminoso.

La lettura (ad alta voce) del testo poetico: qual è secondo te il rapporto della voce col testo e come consideri il tuo “modo” di leggere?

La poesia ovviamente si può leggere solo con gli occhi, senza muovere le labbra, però grandi cose si scoprono di lei nel leggerla ad alta voce, sia per apprezzarla esteticamente e sia per capirla in profondità. Penso quindi che voce e testo siano una cosa sola, non dico come esecuzione e partitura in ambito musicale, ma poco ci manca. È molto bello che gli attori siano tornati a confrontarsi con la poesia, ne abbiamo in Italia di bravissimi, e anche i poeti sono molto migliorati nella lettura ad alta voce, e anche questo è qualcosa di molto positivo. Nella medialità audiovisiva in cui siamo immersi - penso alla radio, a youtube, agli audiolibri ecc. - è un’enorme opportunità per la poesia, ancor poco sfruttata.

Il mio modo di leggere credo di averlo migliorato nel tempo, e comunque mi ha fatto bene avere molte occasioni di leggere ad alta voce, anche per capirmi, conoscermi meglio, e capire meglio la mia poesia.

Come definiresti o descriveresti la poesia e il suo rapporto con le altre arti?

Dicevo prima che sono sorelle, specialmente quelle belle. Oggi i mezzi di comunicazione, essendo pilotati dalla pubblicità, privilegiano le arti più commerciali e spettacolari, anzi diciamo che si dedicano esclusivamente a queste, trascurando la poesia, il teatro, le arti figurative, la danza, la musica cosiddetta colta ecc. Questo è un male e potremmo dire che è questa la vera emergenza ambientale del nostro tempo, più dell’inquinamento e del sollevamento dei mari. Mi immagino un tempo futuro in cui questa nostra aberrazione apparirà incredibile, un po’ come quando pensiamo al medioevo più buio.

 “Cieli celesti” ha debuttato, prima della pubblicazione del libro, come spettacolo. Hanno inoltre dato voce ai tuoi testi importanti nomi del teatro e del cinema italiano. Quanto la tua scrittura, dove non marginale è la forma del dialogo, si lega al mondo del teatro e della narrazione?

Secondo me la riduzione novecentesca della poesia a sola lirica è stata qualcosa di eccessivo. Quando diciamo “narrativa” intendiamo i romanzi, ma dovremmo dire invece “Prosa narrativa”, perchè esiste anche la “Poesia narrativa”, perché scusate dove li mettiamo Omero, Ariosto, Tasso, lo stesso Pascoli ecc? Per quel che mi riguarda io scrivo una poesia che è a volte lirica, a volte in forma di dialogo, e a volte narrativa. Diciamo: 33, 33, 33.

Nella tua poesia si avverte sempre un senso forte dello stupore, dell’ammirazione, che abbraccia, in un’apertura estrema, l’infanzia e la saggezza millenaria al contempo, non esente dalla perplessità e dall’irrisolto. La voce narrante si mischia ai cieli, al sempre vivo – nonostante tutto – Monte Soratte, ai gatti, per farsi poi solitudine: le poesie di Claudio Damiani dove nascono e crescono, per accogliere tutto questo? Di cosa ha bisogno un laboratorio poetico come il tuo, che mira al cielo?

Il mio laboratorio poetico ha bisogno dell’aria aperta, della terra, dei boschi, degli animali… certo anche delle persone, ma è come se gli animali, o i monti, o gli alberi, non so perché, li capisca di più, è come se, osservando loro, capisca meglio gli uomini.

Sarà perché non parlano, o vorrebbero, forse, parlare.

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