di VALENTINA COLONNA
Gaia Ginevra Giorgi, nata ad Alessandria nel 1992, è una giovane poetessa piemontese alla sua seconda raccolta poetica. Laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Torino, vive a Bologna dove studia presso la Scuola di teatro “Alessandra Galante Garrone”. Dopo anni di sperimentazione, in campo letterario e musicale, pubblica Sisifo nel 2016 (Alter Ego Edizioni), sua prima raccolta poetica e performance sonorizzata itinerante, che fa da ponte tra le discipline artistiche che più le sono care: poesia, teatro e musica. È del 2017 la sua seconda raccolta, Manovre segrete, edita da Interno Poesia. Hanno pubblicato i suoi testi e parlato della sua poesia anche La Repubblica di Torino, L’EstroVerso, Poetarum Silva, Paper Street e Interno Poesia. La voce della Giorgi affascina per l’ampio respiro artistico di cui riesce a vivere e per la sensualità forte che la anima, non esente da una vena ironica nitida e drammatica insieme: il suo sentire si declina dal panismo alla femminilità esatta di una giovane poetessa Penelope e Circe al contempo.
la rosa e l'acquario
questo nostro esistere
ha la geometria della sedia a dondolo
dell'orologio a pendolo
il perpetuo moto
del tra(n)sloco
ho confuso soffitti e finestre, i libri (lo sai)
li nascondo sotto il letto - sopra il letto
con cura ho riposto le mie ossa stanche
e con esse un amore grande
o piccolo - insonnia a cottimo
penso a tutte le case
che ho fatto e disfatto - sempre scalza
e piano piano senza pianto - agli abat-jour che ho spento
e riacceso subito dopo
aver misurato la caratura del buio
un milione di volte almeno
- pentita come tutte le volte
che nei muri ho piantato chiodi
sovrappongo cortili a ripostigli
colleziono buchi della serratura, specchi malandati
e lucernari immaginari
svuoto ricordi come cassetti - conto le tegole dei tetti
per addormentarmi
e non bastano mai
anche i tuoi risvegli sono tutti uguali
come amo aprire le mani e perdere ogni cosa
vi lascio tutto: il gatto, il lampadario
la tenda, la tazzina, la rosa e l'acquario
***
abbandono pt.1
il tempo trascorso in questa casa
vale quanto un collasso scampato
mi trascino via sulle ginocchia
a mo' di veliero zuppo di strascichi
non lo realizzo
ma distrattamente ringrazio
la scenografia
sono una professionista dell'abbandono
mi mancherà l'assenza eroica
di tutte quelle cose piccole
che qui non sono mai state
io, è tra queste che t'ho amato
come ho potuto
e odiato anche di più
è qui che mi sono fatta le ferite più grandi
di quelle che occupano uno spazio
- che hanno una loro precisata fisicità
come il pezzo di pane sulla tavola:
il gusto che abbiamo condiviso,
le notti insonni - la polizia municipale
mi sono nascosta in tutti gli angoli
e sono rimasta esiliata nelle mie lontananze
indigena cristallizzata
ho conosciuto l'apnea, sparire sembrava tanto dolce
ma ci siamo addormentati sempre nello stesso letto
che il nostro tormento
con ostinazione ha sorretto
ammetto: noi non ci siamo compresi del tutto
***
miraggio senza titolo
delle città ho amato la pioggia
i ponti di ferro – i binari del tram
(una notte ogni tanto ti sogno:
sei fuori fuoco
quasi sempre giovane
ma donna fatta – leonessa
a riposo
non fai nulla di preciso
gesti incompiuti che comunque non ricordo
ma hai l'esattezza dell'amore nello slancio
una mattina ogni tanto mi sveglio tranquilla,
pacificata:
mi calmi ed è per questo che -
ti ringrazio ma non basta)
della pioggia ho amato soprattutto te,
per esempio, che mi dici
tu non lo sai ma sono cinque anni che -
le lunghe passeggiate solitarie che seguono
dei ponti di ferro ho amato soprattutto te
tutto straniero e congelato
con l'ombrello sfasciato
non sentivi nessun odore tranne -
dei binari del tram ho amato soprattutto te
che misuri in occasioni perse la distanza tra un sì
e un altro sì, cristo dio
cos'altro se non -
ai colori accesi ho sempre preferito
la ruga che ti si è formata sulla guancia
quando mi hai detto
piaceresti anche a mia madre
credo
(Poesie tratte da Gaia Ginevra Giorgi, Manovre segrete, Interno Poesia, 2017)
Cos’è per te la musica della poesia?
Sempre più spesso mi scopro a trovare la musica della poesia nelle pause, nelle sospensioni. Lì, se si fa attenzione, si sente chiaro il suono della poesia. L'arresto dà risalto alla parola, che risulta così di un suono più limpido e trascinante.
La lettura (ad alta voce) del testo poetico: qual è secondo te il rapporto della voce col testo e come consideri il tuo “modo” di leggere?
La dimensione del dire la poesia, del (de)cantarla, ha origini antichissime. Se il poeta ha il dovere di dare corpo-voce al testo, io non lo so. Ma so che ne ha la possibilità. Trovo che, a oggi, nell'era dell'immagine e del video, nell'epoca bulimica e spasmodica dei contenuti veloci e superficiali, il testo abbia la responsabilità di rimanere autarchico, di resistere sulla carta, e di reggere tutto il peso da solo. Il poeta può darne una sua interpretazione "totale", può portare cioè il testo all'atto immediato, performativo, del dire. E per farlo ha il compito di sfruttare totalmente i mezzi che ha a disposizione: non solo la vocalità, ma anche il corpo che sostiene questa vocalità, e così anche i mezzi di produzione, registrazione e trasmissione del linguaggio (che oggi sono veramente illimitati). Adriano Spatola, in tempi non sospetti, aveva largamente di che dire a riguardo. Quando compongo lascio che si compia anche una ricerca sul suono, l'arresto e il ritmo (quasi sempre spezzato). Quando sento che il testo è completo e approdo alla dimensione performativa non faccio che dirlo ad alta voce, così come lo avevo pensato. Sono così ossessiva nel cercare la sonorità giusta che, quasi sempre, quando arrivo alla fine, già il testo è perfettamente impresso nella memoria.
Come definiresti o descriveresti la poesia e il suo rapporto con le altre arti?
Secondo me la poesia sta al principio di tutte le altre arti. Rappresenta le fondamenta, per questo deve sempre essere necessaria. La poesia, al contrario delle altre arti, non può permettersi di essere intrattenimento.
La tua poesia è, come ho già avuto modo di rilevare più volte, piena di sensualità e femminilità, che anche nelle tue performance dal vivo emergono immediatamente. Da dove nasce e come si svolge il tuo lavoro poetico?
Sì, a posteriori posso dire che scrivo una poesia estremamente sensuale, materica, una poesia del corpo e della terra. Non ho deciso di scrivere in questo modo (in realtà non ho proprio deciso di scrivere); forse l'ambiente in cui sono cresciuta, le esperienze di vita che ho avuto, sempre molto forti e in prima persona, mi hanno portato a rivolgere molta attenzione al "sentire", quasi come una sorta di attestazione di esistenza. Quindi il mio sforzo poetico nasce da una sensibilità, un po' seviziata forse, che però mi consente di essere sempre "in ascolto". Per quanto riguarda la dimensione del femminino, invece, beh sono una donna che ama le donne. Sono cresciuta solo con maschi, per cui sono dovuta andare a scavare in profondità, dentro di me e negli angoli più ombrosi dei gesti degli altri, per trovare la femminilità. L'ho evitata, a lungo, mi spaventava perché non la conoscevo. Quando l'ho trovata, e accolta, ho capito. Se devo pensare alla mia poesia mi piace pensarla come una donna primitiva, scalza, folle. Non c'è molta differenza dalla Natura.
Il tuo libro si sospende in una tensione continua, non interrotta dal punto fermo e con un uso della punteggiatura limitato e molto calibrato. Come si conciliano per te, che ti dedichi anche al teatro e alla “messa in scena” della poesia, la scrittura poetica sulla pagina (con la sua forma, i suoi spazi) e la sua voce sul palco?
Mi servo qui della risposta alla prima domanda per ribadire il concetto di "sospensione". Io non sento di aver bisogno della punteggiatura, quando scrivo in versi. Mi sembra più naturale servirmi dei silenzi e di chiuse forti che non abbiano l'esigenza di un punto. Ho in testa le mie pause e so cosa significano quindi portarle sul piano perfomativo è naturale e piuttosto semplice. Qualche volta mi è stato detto che alcune mie poesie risultano più comprensibili se dette ad alta voce da me. Questo significa, mio malgrado, che un'assenza così esplicita di punteggiatura può risultare pesante, rendendo certi testi, seppur comunicativi, non del tutto comprensibili, e questo è un peccato perché io vorrei sempre che il testo non necessitasse della voce. Ma ho ancora tantissimo da imparare.