Rosalyn: Non tutto è come sembra

Giro di boa per la stagione teatrale monregalese col quarto appuntamento dei sette in cartellone. Mercoledì 7 febbraio è andato in scena “Rosalyn”, che ha visto sul palco Marina Massironi e Alessandra Faiella per la regia di Serena Sinigaglia. La recensione del nostro Giovanni Rizzi e l'intervista di Paolo Roggero ad Alessandra Faiella

Commedia e noir si incontrano in questo spettacolo scritto dall'autore Edoardo Erba, sceneggiatore di importante e longeva esperienza teatrale, capace in questo caso di allestire una rappresentazione dalla trazione prevalentemente femminile. Rosalyn è infatti l'attrice Marina Massironi, conosciuta al grande pubblico per i suoi lavori con i comici Aldo, Giovanni e Giacomo, abile nel crearsi una carriera autonoma, portando avanti cinema, TV e teatro, non disdegnando il mondo del doppiaggio d'animazione che la lanciò agli inizi. Milanese come Alessandra Faiella, sua compagna di palco nel ruolo di Esther: molta televisione anche per lei, soprattutto comicità, dal “Pippo Kennedy Show” passando per “Zelig” e “Bulldozer”, ma non solo. Oltre al tanto teatro porta avanti anche l'attività di scrittrice, caratteristica che l'associa al suo personaggio. Esther è infatti una autrice nordamericana di successo, che si trova suo malgrado al centro di un'indagine estremamente seria. Da qui si comincia, o meglio si ricostruisce, perché Esther si trova al centro di un interrogatorio, imputata e sola di fronte ad un interlocutore invisibile, nei guai per una stilografica misteriosamente materializzatasi in quel di Detroit da Toronto. Il racconto però ha bisogno di un passo indietro, e il flashback ha gli occhi e la voce di Esther, trasferendosi nella Toronto quattro anni prima, dove la scrittrice si trova per intervenire ad una conferenza. Proprio nell'attesa dell'evento la sua concentrazione viene attirata dall'arrivo di una donna delle pulizie intenta nelle sue faccende, all'opera su di una pavimentazione che rappresenta un insolita variazione scenografica. Essa è infatti inclinata con una notevole gradazione verso la platea, oltretutto disseminata di svariate parti mancanti che rendono il palcoscenico quasi del tutto inagibile. Costringendo le due interpreti a continue prove d'equilibrio per muoversi sulla scena, permettendo altresì al pubblico di percepire una certa estraniazione dalla dimensione del reale, un dettaglio che non sarà secondario. La sedia a centro palco non si muove, e a prenderne possesso è di nuovo Esther interrompendo il suo flashback, e riprendendo con l'interrogatorio; ma se di lei cominciamo a conoscere qualcosa, ancora molto c'è da scoprire sulla donna delle pulizie, Rosalyn. Torniamo nuovamente al passato di Toronto, l'indomani alla sera della conferenza le due donne sono diventate amiche e dopo aver visitato la città si trovano alle cascate del Niagara. Il loro rapporto viaggia a mille all'ora, e nell'arco di una giornata divengono confidenti e anche qualcosa di più, ma ecco il fattaccio. Rosalyn dopo essersi sfogata raccontando le violenze subite dal suo amante, confessa ad Esther di averlo ucciso e rinchiuso nel bagagliaio dell'auto con cui sono giunte fin li. Da questo momento il loro rapporto cambierà drasticamente.

 

Di primo acchito la commedia sembra trarre ispirazione dalla realtà, prendendo spunto dalla cronaca dei casi di violenza contro le donne, la vicenda in realtà ci porterà in altra direzione. Cominciando con la sopracitata scenografia, utilizzata come componente surreale capace di introdurci a quella parte di inconscio che subentrerà poi più avanti nel racconto. La medesima pavimentazione è emblema del faticoso lavoro di Rosalyn e al contempo luogo dove siede Esther durante l’interrogatorio. E’ quest’ultima ad esserci presentata per prima nella vicenda, lasciandoci intuire che la storia parli principalmente di lei, controvertendo in un questo modo il titolo dell’opera, regalandoci così un ulteriore indizio per la risoluzione finale dell’intreccio. La parte iniziale della commedia è decisamente più leggera, ma più ci si addentra nella psicologia dei personaggi più i toni divengono cupi, alterando anche le posizioni delle due donne nella vicenda. Esther decisa, colta e realizzata, inizialmente sembra avere il controllo sulla nuova amica Rosalyn, all’apparenza ingenua e grossolana, che si guadagna da vivere con un lavoro umile. Ma le parti si invertiranno, e sarà quest’ultima a prendere il sopravvento quando la commedia si tingerà di nero, divenendo cinica e meticolosa, e chiudendo all’angolo Esther. Questo cambiamento metterà in seria difficolta Esther anche nel suo interrogatorio alla polizia, fioccheranno le incongruenze e le contraddizioni, ma la risoluzione dell’indagine avrà delle dinamiche del tutto inaspettate.

Il lato oscuro del sorriso

Alessandra Faiella ci racconta “Rosalyn” l’innovativa pièce di Edoardo Erba, che porta a teatro una storia dal taglio cinematografico, in bilico tra noir e commedia

Da una parte Esther, una scrittrice americana di grande successo, dall’altra Rosalyn, una donna semplice, che fa le pulizie in una sala conferenze. Da una parte il presente, in cui la scrittrice si trova ad affrontare un interrogatorio presso una stazione di polizia, per sciogliere l’accusa di omicidio che pende su di lei, dall’altro il passato, il ricordo di quel curioso incontro, tra la colta, sicura di sé, Esther e la fragile, semplice, ingenua Rosalyn. La trama della pièce di Edoardo Erba corre perennemente su piani paralleli e contrapposti. Dal punto di vista narrativo gioca su continui flash-back, ricorrenti passaggi tra il piano del presente e quello del passato. Uno schema molto familiare al cinema e in televisione, ma ancora relativamente nuovo in teatro: farlo rendere sul palcoscenico in modo convincente e immediatamente comprensibile al pubblico è una sfida non da poco. La vicenda dell’incontro tra le due donne è il punto di partenza per una storia ricca di colpi di scena, alla scoperta dei lati più oscuri e misteriosi delle personalità delle protagoniste. Ne abbiamo parlato con Alessandra Faiella, interprete, insieme a Marina Massironi, di questo pezzo di drammaturgia contemporanea (“Rosalyn” è stato rappresentato per la prima volta l’anno scorso).

 

«Rosalyn è uno spettacolo particolarmente intrigante e suggestivo: si tratta di un giallo con momenti molto divertenti, scambi comici, ma non si tratta di una commedia tout-court. È un noir, costruito in modo molto cinematografico dall’autore Edoardo Erba. Il plot narrativo è basato su numerosi flashback, e corre su un duplice piano: da un lato un interrogatorio in una stazione di polizia, a Esther, una scrittrice di best seller, il personaggio che interpreto io, dall’altro l’incontro, che risale a tre anni prima, tra Esther e Rosalyn, una donna delle pulizie ingenua, sprovveduta, il personaggio interpretato da Marina. La costruzione narrativa è sicuramente l’aspetto più singolare e nuovo di questo lavoro di Edoardo Erba, raramente si vede un costruzione così cinematografica in teatro. Ricorda un po’ la prima parte di True detective, che si basa tutta su un interrogatorio. Tutta la storia è centrata sul contrasto tra le due donne, che sono molto diverse tra loro. Rosalyn è una donna ingenua, sprovveduta, anche un po’ ignorante, Esther è una scrittrice narcisista e snob. Sono due caratteri che sveleranno dei lati nascosti che lo spettatore non immagina di scoprire: il senso della trama e il lato più comico della stessa nasce da questo contrasto iniziale».

-Tu e Marina Massironi avevate già collaborato in passato?

Ci conoscevamo e abbiamo lavorato insieme sporadicamente, in maniera molto diversa. Avevamo fatto Comici, il programma di Serena Dandini che era andato in onda a fine anni novanta e “Cheesecake” un cortometraggio di Max Croci, che è un regista affermato. Non ci era mai capitato di fare insieme un lavoro di questo tipo, in scena siamo solo noi due e l’interazione tra di noi è molto forte.

-“Rosalyn”  colpisce per la sua attualità: è stato scritto l’anno scorso eppure è perfettamente in tema con i fatti della cronaca di questi giorni. Uno dei temi che emerge prepotentemente dal testo è quello della violenza “quotidiana”, quella furia nascosta, silente, che non si vede nelle persone ma che a un certo punto esplode, senza alcun preavviso.

E non solo: un altro aspetto centrale in questo spettacolo è la violenza psicologica e fisica sulle donne. Poi si parla della deriva psicologica, che può condurre, in casi estremi, alla follia e che può colpire in una società complessa ed esasperata come la nostra. Non è un caso che lo spettacolo si svolga tra il Canada e l’America, dove certi elementi di conflitto sociale e alienazione sono ancora più forti e presenti rispetto all’Italia.

Radice di questi problemi è anche l’incomunicabilità, la difficoltà a esprimere i propri malesseri interiori

Certamente, è presente anche questo aspetto: ci si illude che reprimendo alcune parti di sé, nascondendo gli aspetti più problematici questi possano essere scavalcati, ma è una pia illusione.

Oltre che un attrice tu sei principalmente un autrice, hai scritto per il teatro, per il cabaret, per il giornalismo. Dal punto di vista creativo e autoriale quali sono le cose che ti hanno più interessato di questo testo di Erba? I punti più significativi di questo copione?

Come dicevo prima è proprio questa struttura narrativa molto particolare: il flashback teatralmente è un impianto nuovo, è un meccanismo più familiare al cinema. Leggendo il copione ero sorpresa: mi chiedevo “come faremo a rendere sulla scena tutti questi passaggi? È stato possibile grazie al lavoro della regista, Serena Sinigaglia, e della scenografa, Maria Spazzi, che sono riuscite a rappresentare in modo perfettamente comprensibile sulla scena tutti quei passaggi in cui lo spettatore, solo con l’ausilio del testo, avrebbe avuto difficoltà ad orientarsi.

“Rosalyn” è uno spettacolo estremamente complesso, oscilla tra la risata e il dramma, tra paradosso e indagine psicologica, tra la commedia e l’indagine nei lati più oscuri dell’essere umano. In qualche modo è un testo che scardina la divisione tra i generi e sfrutta il comico per parlare anche del male

È un elemento interessante del testo: va notato che la comicità di questa pièce non è mai legata alle battute. È sempre una comicità di situazione: nasce dagli scambi tra i due personaggi in scena, dalle situazioni che si creano, non si cerca mai la battuta ad effetto, la frase esilarante. Anche la regista Serena Sinigaglia non ama cavalcare la risata facile: nei suoi spettacoli la risata nasce sempre dalla regia, dai paradossi, dalla verità che gli interpreti sanno dare ai personaggi e dalle situazioni che ne derivano.

-In passato hai collaborato con Franca Rame e Dario Fo, hai cominciato lavorando con la loro compagnia in “Il papa e la strega” e successivamente ti sei confrontata con i loro testi. Che cosa della loro lezione ti ha più segnato ed è entrato stabilmente nel tuo modo di fare e vivere il teatro?

Rispondere a questa domanda sarebbe davvero troppo lungo: in estrema sintesi mi vengono in mente due parole chiave: passione, impegno e arte dell’attore. La passione perché era quello che li animava profondamente, c’era in loro un grande amore per la scena. L’impegno perché anch’io come loro ho sempre creduto in un teatro che non si fermasse alla superficie ma che andasse a raccontare qualcosa in più sulla società in cui viviamo. L’arte dell’attore è legata al tipo di interpretazione che mi hanno trasmesso, che cerca di avvicinarsi il più possibile alla verità. Loro ricercavano un teatro dinamico, dove l’attore è soprattutto se stesso, piuttosto che un teatro accademico, più costruito e artefatto.

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