Lo hanno seppellito il giorno del suo compleanno. Oggi è passato un mese da quella tragedia e le prime parole che la madre dice sono: «Grazie a tutti». Le dice con compostezza e dignità, col sorriso sulle labbra. Un mesa fa il loro piccolo Alì, neanche quattro anni, se ne andava lasciandosi dietro non solo il dolore di mamma, papà e delle tre sorelline, ma anche lo sgomento di tutta Mondovì. Che si è stretta attorno a questa famiglia: «Non ci hanno lasciati soli un solo giorno – raccontano i genitori –, vogliamo ringraziare la città intera».
La famiglia Mouarraf vive a Mondovì solo da ottobre, ma è in Italia da quasi 20 anni. Prima abitavano a Carmagnola, poi sono venuti a stare qua perché il padre è stato trasferito nello stabilimento di Pianfei della ditta per cui lavora. La madre ha deciso di restare a casa per badare ai figli: Alì e le sue tre sorelline maggiori di 7, 9 e 10 anni. Alì è morto la mattina di giovedì 26 marzo, ucciso da una polmonite fulminante: il referto dice che la morte è avvenuta alle 6. «Ovviamente il fascicolo della Procura è ancora aperto – spiega l’avvocato Enrico Martinetti che assiste la famiglia –, in mano al sostituto Giulia Colangeli. L’accusa è di omicidio colposo contro ignoti. Il dr. Testi, incaricato dell’esame autoptico, ha 90 giorni di tempo per comunicare gli esiti. I carabinieri hanno sequestrato la confezione del farmaco somministrato. Abbiamo visto la cartella clinica che era nelle mani della pediatra di Carmagnola che ha visitato Alì fino a sei mesi fa: non risulta nulla di anomalo, né malformazioni né patologie». La causa sarebbe una polmonite fulminante: nessun rischio contagio, una tragedia che poteva succedere in qualunque casa.
Ecco perché, per questa bruttissima storia, il papà e la mamma parlano solo di “destino”. Ma non puntano dita, né alzano la voce: «Certo che ci manca, ci manca tantissimo – dicono –. Era vivacissimo, le nostre figlie ci dicono di continuo: in questa casa era diverso quando c’era Alì. Lo abbiamo seppellito a Casablanca, e vogliamo dire grazie alla comunità musulmana di Mondovì per averci aiutato a pagare le spese del viaggio della salma. Ma non solo: tutta la città ci è stata vicino, dalle maestre dell’asilo alle persone comuni. I suoi compagni di scuola sono venuti a farci visita nei giorni in cui eravamo all’ospedale e in quelli successivi, a casa. Ringraziamo i dottori, gli infermieri. Famiglie che non conoscevamo neppure sono venute a trovarci, non ci hanno mai lasciati soli. Vogliamo dire grazie a tutti, a tutta Mondovì».
E chissà che da questa tragedia non possa nascere qualcosa. Magari una giornata per ricordare Alì e avvicinare tutti i bambini, senza stupide distinzioni di origine o altro. Anche perché il papà lo dice sorridendo: «Siamo in Italia da 20 anni, mia moglie ha la cittadinanza, Alì e le sue sorelline erano cittadini italiani a tutti gli effetti. Non era “un bimbo marocchino”. Era un bimbo».