Disegnare con la luce, questo è il significato etimologico del termine fotografia e questo è l’incipit con cui Wim Wenders fa esordire sullo schermo Sebastião Salgado, soggetto protagonista del film-documentario Il Sale della Terra (a lui dedicato) che narra la storia del più importante fotografo documentarista vivente (il film è stato distribuito in Italia tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014). L’emozione vissuta è stata tale da rendere necessario l’approfondimento di un personaggio così fuori dal comune e tanta da decidere di vedere dal vivo alcuni dei suoi scatti, esibiti in mostra (fino a fine settembre) al Forte di Bard, avamposto strategico tra il Piemonte e la Valle d’Aosta. La mostra è un lungo percorso attraverso Genesi (curata dalla moglie), ultimo grande lavoro di Salgado che l’artista ha deciso di realizzare, dopo una serie di reportage che ne avevano scosso l’integrità personale a causa di tutte le incredibili violenze della civiltà umana fotografate (in modo particolare il genocidio in Rwuanda del 1994), per tornare in qualche modo alla vera essenza del mondo, un’armonia che l’umanità non può fare a meno di trovare per non distruggere il paese che possiede “in prestito”. Genesi è un viaggio (o meglio, una serie) attraverso le zone più inesplorate e incontaminate del nostro pianeta, un viaggio che tuttavia (e soprattutto) è elemento per mostrare la vera essenza dell’esistere. Il bianco e nero (elemento imprescindibile di cui Salgado si serve sin dagli esordi per trasferire in impressioni le emozioni che vive) toglie colore alla scena, ma così facendo rilascia all’occhio dello spettatore l’animo più vero e autentico di ciò che viene fotografato, sia esso un paesaggio incontaminato del Polo Sud o dell’Alaska, sia essa la zampa di un coccodrillo appoggiata a una roccia che sorprendentemente ricorda quella di un uomo, lo sguardo nel buio di un ghepardo o ancora il volo di un cacciatore della tribu Zo’é nelle jungle della foresta equatoriale amazzonica. E se Salgado attraverso la fotografia esorta alla riflessione sull’elemento più profondamente naturale dell’umanità (o quello che dovrebbe essere), la mostra su Walter Bonatti (anch’essa all’interno del magnifico Forte Albertino fino al 27 settembre) parla dell’uomo e del suo animo avventuroso e di come questo possa spingere a trovare un punto di incontro, di reciproco scambio e confronto con la natura che ci circonda. Due mostre simili, ma totalmente diverse, in cui l’uomo è sì protagonista e fulcro dell’azione, ma con modalità e spirito di osservazione temporalmente e concettualmente distanti; non si pongono in contrapposizione o in antitesi, ma al contrario offrono entrambe l’occasione per vivere un’esperienza di confronto con l’interiorità.
Salgado e Bonatti, l’umanità si confronta con la Terra
Le mostre al Forte di Bard fino a settembre – Immagini che colpiscono, da orizzonti intriganti