La possibilità di disporre di una sistemazione abitativa dignitosa rappresenta uno dei pilastri su cui si fonda la qualità di vita di un individuo. La Commissione Europea ha recentemente dichiarato che la mancanza di una sistemazione adeguata è forse la manifestazione più seria della povertà e dell’esclusione sociale dei nostri tempi. Nonostante questa importanza riconosciuta, sorprende che all’interno della Costituzione italiana non si parli in modo esplicito di “diritto alla casa”: questa assenza induce una debolezza di fondo, che ancora oggi preclude un riconoscimento di autonomia alla tematica.
DISAGIO ABITATIVO: tutti gli interventi - ecco come chiedere aiuto
La questione abitativa è l’esito dei profondi cambiamenti che hanno interessato molti Paesi europei a partire dagli anni ‘70 e ’80: l’affermarsi di politiche di deregolamentazione statale e la diffusione della proprietà della casa; le trasformazioni sociali, con un aumento dei processi di impoverimento e di disgregazione sociale. Oggi le politiche abitative rientrano nell’ambito del cosiddetto “welfare state”, lo stato sociale basato sul principio di uguaglianza. Per molto tempo, tuttavia, la povertà abitativa è rimasta ai margini del dibattito, sia per la grande offerta di case, sia perché si riteneva un fenomeno collaterale, destinato ad essere gradualmente assorbito dalla crescita. Con l’avvento della crisi sono invece emerse le diverse contraddizioni del sistema immobiliare, che hanno avuto come conseguenza il collasso del settore, l’aumento degli sfratti ed il diffondersi del disagio abitativo. Nonostante una disponibilità di alloggi superiore rispetto alla richiesta, il prezzo delle abitazioni è andato aumentando rispetto alla possibilità di potervi fare fronte: tra il 1991 e il 2009 i canoni di mercato delle aree urbane sono cresciuti in media del 105%, le disponibilità economiche familiari soltanto del 18%. Uno scenario paradossale: un mercato immobiliare saturo, un numero crescente di persone che non possono permettersi una casa e sempre più edifici – pubblici e privati – vuoti e inutilizzati.
Anche negli altri Stati europei, le conseguenze sono state gravi e hanno richiesto interventi vigorosi: in Spagna, la politica intrapresa dal Sareb, la banca che ha acquisito il patrimonio immobiliare per salvare gli istituti di credito, è stata quella di procedere alla demolizione di parte del tesoretto edilizio; in Francia invece, tra il 2012 e il 2014, la ministra della Casa e dell’Uguaglianza dei territori Cécile Duflot ha lanciato l’idea di convertire gli edifici statali vuoti in strutture da destinare ai senza fissa dimora.
A fianco di questi provvedimenti statali crescono le iniziative di cittadini ed associazioni che agiscono per tutelare il paesaggio e per promuovere la conversione a spazi di edilizia sociale. In questo senso il social housing si sta delineando sempre più come una strada praticabile di intervento sostenibile, con soluzioni innovative che mirano non soltanto allo sviluppo del singolo, ma del contesto territoriale in cui vive.
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