Non chiede soldi facili, non chiede carità. Chiede un pallone, come quello che ha avuto sui piedi per gli ultimi sei anni, e un prato verde: «Su cui dimostrare quello che so fare». Si chiama Michel, 18 anni, viene dal Mali. Là era un giocatore professionista: poi la guerra gli ha spaccato la vita, è scappato come tutti i “migranti”. Ora è a Mondovì, è uno dei profughi alloggiati a Breo. Una storia tragica e meravigliosa allo stesso tempo… in cerca di un epilogo.
Si chiama Michel Ousman, classe 1996. Per noi è “un clandestino”, uno di quelli che “vengono qua a portarci via il lavoro”. Quale lavoro aveva, in Africa? La risposta è sorprendente: «Ero un calciatore professionista, giocavo nel Jeanne D’Arc FC di Bamako». Gioca a calcio da quando aveva cinque anni, negli ultimi sei lo faceva di lavoro: ha giocato in Campionato e, dice, anche nella Nazionale. E pensare che il suo connazionale Samba Diakité, astro nascente del football di Mali, è finito addirittura sotto la lente del Milan. A Michel invece è toccato un barcone e il Mediterraneo. E ora qua lo chiamano solo “clandestino”. «Avevo dei fratelli e delle sorelle. Uno di loro è morto, i soldati gli hanno sparato e l’hanno ammazzato». E poi? «Io sono scappato verso la Nigeria a fine 2013, ci sono rimasto un mese e poi sono fuggito in Libia. Ma ho scoperto che lì, sei hai la pelle nera, ti ammazzano appena ti prendono». Così si è imbarcato sui gommoni della disperazione, fino all’Italia. Mentre me lo racconta, mi porge una lettera scritta in italiano (lui parla francese e inglese): «Me la sono fatta scrivere da una persona che lavorava nei centri di accoglienza quando sono sbarcato – dice –: lì c’è scritto che ero un calciatore e che tutto ciò che chiedo è di farmi tornare sul campo da gioco».
Sarà possibile organizzare un incontro con la Virtus Mondovì?
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