Venerdì 4 novembre è il compleanno per mons. Luciano Pacomio. Ed è un traguardo importante per il nostro vescovo, che compie 75 anni. Infatti questa soglia di età comporta – come dal Codice di Diritto canonico (can. 401) – che il vescovo presenti la rinuncia al mandato di pastore nella Chiesa che gli è stata affidata. E rispetto a questa scadenza lo stesso mons. Luciano Pacomio ha già avuto modo di spiegare i passi compiuti. Le sue dimissioni sono state inoltrate in anticipo, il 29 giugno, data della ordinazione sacerdotale del nostro vescovo.
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Di questo momento di “distacco” ha parlato a lungo nella Lettera pastorale “Il cammino continua”. Ne ha scritto su questo foglio, spiegando che la rinuncia presentata è stata accolta secondo la formula “Nunc pro tunc” (Adesso per allora), nel senso che si resta in attesa della nomina del successore. Le dimissioni non sono ancora efficaci. Lo saranno al momento in cui si renderà noto il nome del nuovo vescovo. Cogliamo l’occasione del compleanno, per una breve intervista a mons. Luciano Pacomio.
Intanto auguri, cordiali. Nella Lettera pastorale ci ha già esternato i sentimenti con cui affronta questi mesi del tutto particolari, che prevedono il distacco dalla Diocesi di Mondovì. Ha usato l’avverbio «serenamente», sia dal punto di vista umano che cristiano, nel condividere quanto sta vivendo. Adesso che il tempo passa e le scadenze si avvicinano, ha qualcosa da aggiungere, partendo dal suo animo?
Siccome altri mi hanno chiesto di intervistarmi per esprimere il mio stato d’animo, mi permetto di scrivere così per il nostro settimanale e quello che dico lo ripeterei a tutti quanti. Faccio parte dei vescovi della terza generazione, da quando il Papa Paolo VI, beato, ha fissato l’età limite del loro incarico. Accettando quindi il dono dell’episcopato, sapevo benissimo che in un servizio diocesano c’era questa scadenza. Se il Signore mi dava vita, sarebbe arrivata e dovevo affrontarla come ogni bravo cristiano: attendendola, preparandola e continuando a operare con il valido aiuto dei collaboratori, fino al termine di fatto stabilito dal Papa. Questo mio modo di essere e di pormi lo chiamo «serenità», giacché non ho né desideri struggenti né amarezze lancinanti. Riesco a vivere gli uni e le altre grato al Signore, offrendo tutto con gioia e riconoscenza, proteso verso ciò che Egli mi dona e le persone fraternamente mi aiuteranno a vivere nel prosieguo.