D’attorno a Natale, con maggiore o minore riuscita, ci si industria – tramite il presepe – a ricostruire nell’oggi quanto si pensa fosse presente due mila anni fa a Betlemme. Poi inevitabilmente ci si rifugia in ricostruzioni improbabili, confondendo la Palestina di allora con le nostre civiltà contadine di fine ‘800 e di inizio ‘900, privilegiando antichi mestieri e ancestrali abitudini, tanto per dare un tocco di nostalgia a tutto il contesto. Il risultato può piacere o meno. Non sempre il messaggio del Figlio di Dio fattosi bambino nelle pieghe della nostra umanità… risalta appieno. Anzi potrebbe anche venire alquanto oscurato. Invece – ribaltando un po’ la prospettiva – non è banale riflettere su quanto oggi, in mezzo a noi, si ripete sulla pelle dei più poveri, così come avvenne appunto a Betlemme, per quella famigliola in cerca di riparo, senza molti appoggi o punti di riferimento. Infatti c’è un’immagine, anzi un tratto dei racconti evangelici sul Natale del Signore che oggi più che mai sa di interpellante attualità, e riguarda l’annotazione su Maria e Giuseppe, a Betlemme, per i quali “non c’era posto”. Infatti oggi sono tanti ad imbattersi in porte sbarrate, in usci chiusi, in accoglienze negate. Anche il nostro tempo presenta queste quote di indifferenza o di sbarramento, rispetto all’altro che cerca un futuro migliore, meno tribolato, meno angosciante; ma anche rispetto all’altro che appare un escluso od un emarginato, per mille ragioni (perché è stato in carcere, perché è malato di mente, perché si è sbandato…). E poi ci sono pure, drammaticamente, quelli che tra noi hanno visto la casa crollare sotto il terremoto o devastata dall’alluvione. Insomma c’è un diffuso ed articolato bisogno di poter contare su “un posto” in cui abitare da umani, da figli di Dio, da amici con dignità insopprimibile… Ed è davvero consolante sapere – il Natale ci ricorda proprio questo – che il Figlio di Dio fattosi nascituro nel grembo di Maria si è trovato subito alle prese con questa condizione di inaccoglienza, di senza casa, di senza riparo, di emigrante in Egitto (non su barconi ma a dorso d’asino). La marginalità Lui la conosce da subito, gli entra nel sangue e nel cuore, lo rende fratello di tutti a cominciare degli ultimi e dai dimenticati. Così, immediatamente, appena viene al mondo, sa da che parte stare. Al fianco di chi è messo al bando. Disegnando una strada, rilanciando una logica, indicando un percorso esistenziale. Natale contiene questo messaggio forte, al di là di tutto quanto nella cornice ad effetto che sappiamo allestire con luci, suoni, abbuffate, regali, auguri… può depistarci altrimenti ed altrove, catturandoci gli occhi, intasando il cuore. Appesantendo l’anima, indurendo i rapporti diseguali della nostra società dalle troppe esclusioni. Un Natale per aprirsi alla porta della misericordia, perché i nostri usci non siano sempre e solo sbarrati…
“Certe porte non si aprono per certa gente. Nemmeno s’erano aperte a Betlemme, in allora, ad un uomo ed alla sua donna con le doglie. Erano di colore? … Ma quale benedetto colore dobbiamo avere per essere accolti? Quale per accogliere?”, l’ha scritto Cecilia Dematteis su “Il granello di senape”. Pensiamoci, facendoci gli auguri.
Buon Natale
Non c’era posto…
Non è banale riflettere su quanto oggi, in mezzo a noi, si ripete sulla pelle dei più poveri, così come avvenne appunto a Betlemme, per quella famigliola in cerca di riparo, senza molti appoggi o punti di riferimento