Quando l’attentato di Sarajevo incendiò l’Europa

Come vissero la vigilia della Grande Guerra i monregalesi del 1914?

Come vissero la vigilia della Grande Guerra i monregalesi del 1914? Quel 28 giugno l’eco delle rivoltellate sparate dall’irredentista serbo Gavrilo Princip contro Francesco Ferdinando d’Asburgo e la moglie Sofia giunse attutita a Mondovì, perché l’attenzione era assorbita dall’accesa campagna per le elezioni amministrative. L’eterogeneo Blocco laico, che due anni prima aveva spodestato i cattolici del sindaco Bertone, era entrato presto in crisi a sua volta, e il sindaco socialista Gallizio e la sua Giunta si erano dimessi in febbraio. Si rivotò a giugno, e l’asse tra cattolici e liberal moderati formatosi sulla scia del Patto Gentiloni ebbe la sua rivincita dopo infuocate polemiche.
Allora dalle dispute locali l’attenzione poté spostarsi agli avvenimenti europei sempre più gravi; e anche i fogli locali avvertirono che la crescente tensione nei Balcani, dati gli intrecci di alleanze e d’interessi, minacciava l’intero continente. Ormai era in moto un’escalation incontenibile verso un conflitto che i moderni strumenti di guerra avrebbero reso terrificante.
Neutralità. Ma poi... - Dopo l’attentato del 28 giugno passò un mese prima che la guerra deflagrasse; ma poi l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, e l’Italia, pur legata agli austro-tedeschi nel Patto difensivo della Triplice Alleanza, scelse la neutralità non sentendosi obbligata ad aiutare chi aveva aperto il conflitto. Ma nel resto d’Europa l’incendio divampò. Il 1° agosto 1914 scattò l’alleanza militare franco-russa; la Germania entrò in guerra con Francia e Russia e invase il Belgio neutrale per aggirare le linee fortificate francesi. A prezzo di mezzo milione di caduti nei primi 40 giorni, la Francia fu salvata dalla tenace resistenza sulla Marna; ma sul fronte occidentale ci si logorò in una cruenta guerra di posizione a trincee contrapposte. Sul fronte orientale invece le truppe austro-tedesche puntarono verso la Polonia e le province baltiche. Dal 5 agosto anche l’Inghilterra scese in guerra contro la Germania; poi dal 31 ottobre la Turchia affiancò gli Imperi centrali. Per il momento, Italia e Romania si tennero neutrali; ma da noi la polemica fra interventisti e neutralisti si fece presto violenta.
“L’Italia saprà durare nella neutralità?” si chiedevano i fogli locali facendosi eco di ostilità verso ogni guerra, oppure di simpatie verso la Francia repubblicana e l’Inghilterra liberale, spinte fino ad auspicare un intervento a fianco dell’Intesa (la Triplice Alleanza godeva infatti da noi di scarsa simpatia; e l’aggressività di Austria e Germania accresceva lo sconcerto e lo sdegno). In città i più propendevano per la pace: i cattolici della nostra “Unione Popolare” erano contrari per principio; i socialisti di “Lotte Nuove” consideravano la guerra “una folata imperialistica”; i liberali moderati della “Gazzetta” erano solidali con la “saggezza della neutralità” sostenuta da Giolitti. Neutralista si mostrava pure, all’inizio, la liberal-demo-radicale “Stella di Mondovì”, che poi volse all’interventismo più spinto. Nonostante le notizie sulla terribilità della lotta, nonostante le invocazioni alla ragione e le preghiere per la pace, i sostenitori del “salutare bagno di sangue”, della guerra “sola igiene del mondo”, del dovere di aiutare le “irredente Trento e Trieste”… si fecero sempre più chiassosi. L’inquietudine serpeggiava e la polemica montava.
Alpini in Carnia già quell’estate - Già a metà agosto del ‘14 le Penne Nere del 1° Reggimento, coi Battaglioni “Mondovì”, “Ceva”, “Pieve” e gli artiglieri alpini, furono inviate in val Fella, in Carnia, a presidiare i confini orientali. I giornali intanto si sforzavano di trattenere i risparmiatori dal ritirare dalle banche i loro depositi (cosa possibile solo per un 5%). Le limitazioni al credito e la carenza di carbone e di materie prime condizionavano i rifornimenti alimentari, i trasporti e l’attività d’industrie e officine (non però di quelle addette a produzioni belliche). Nella psicosi generale i prezzi salivano. Speculatori battevano le campagne facendo incetta di grano da vendere al mercato nero; e il Governo annunciava pateticamente che il raccolto di granturco si prospettava abbondante; i contadini vedessero però di seminare molto frumento, a costo di sconvolgere le ordinarie rotazioni.
Dai fronti europei filtravano notizie di sempre nuove carneficine, e gli animi si facevano attoniti. Il papa Pio X spirò il 20 agosto di quel 1914 dopo aver sussurrato “Darei in olocausto questa povera vita mia per impedire lo strazio di tanta giovinezza”. Il vescovo Ressia additò nella “preghiera confidente e penitente il mezzo per perpetrare da Dio la pace”.
Pace, pace! - Il sindaco Bertone si insediò il 10 agosto, e in quella stessa seduta il socialista Gallizio dai banchi della minoranza propose un ordine del giorno che auspicava “la pace dei popoli funestati da una guerra terribile e sanguinosa”. I consiglieri lo votarono all’unanimità, benché il Ministero avesse invitato ad astenersi da simili prese di posizione. Quello stesso giorno al Consiglio provinciale di Cuneo, che l’aveva voluto ancora una volta presidente, l’on. Giolitti affermò: “Un solo sentimento ci anima: la solidarietà col Governo”. La via scelta dal Governo Salandra sembrava, per allora, la neutralità: quella neutralità da cui Giolitti riteneva ci fosse “parecchio” da guadagnare o almeno da risparmiare, perché la guerra era “una disgrazia, non una fortuna” come sostenevano i nazionalisti, i futuristi e quegli esagitati di D’Annunzio e di Mussolini. Per questo, Giolitti si attirò lo sprezzante appellativo di “Uomo del parecchio”.
Per parte sua il nuovo papa Benedetto XV supplicò i governanti “ad avviare consigli di pace”. Però la propaganda guerrafondaia, solo in parte alimentata da patrioti in buona fede, si fece in Italia sempre più insistente, fino al precipitare degli eventi, fino al Patto segreto di Londra con cui il re e Salandra s’impegnarono a portare l’Italia a fianco dell’Intesa. Il Parlamento, obtorto collo, non osò contraddire il re... e l’esercito marciò il 24 maggio del ‘15 per raggiunger la frontiera verso quattro anni “d’inutile strage”.

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