“Vogliamo solo pace e giustizia. Il mondo s’impegni perché si raggiunga la fine delle ostilità. Qui si muore ogni giorno. Basta!”: è il grido di Issa Tarazi, coordinatore del “Vocational training center”, promosso dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che si trova a Gaza City. Alza la voce il coordinatore mentre da Gaza è al telefono con il Sir, quasi a voler far ascoltare a quanta più gente possibile il disperato bisogno di una tregua, di un cessate-il-fuoco, attraverso le diplomazie internazionali, mediando tra Israele e Hamas. Al diciannovesimo giorno di combattimenti, e le vittime palestinesi sono oltre 1.000, in gran parte civili, e 45 quelle israeliane. Drammatica la conta dei bambini morti, uno ogni ora, secondo Oxfam Italia. Numeri che hanno spinto l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu a Ginevra, nel suo intervento del 23 luglio, alla XXI sessione speciale del Consiglio per i diritti umani dedicata ai territori occupati palestinesi, compresa Gerusalemme Est, a parlare di «coscienze paralizzate da un clima di prolungata violenza che cerca di imporre una soluzione attraverso l’annientamento dell’altro. Il peggioramento della situazione a Gaza ci ricorda quanto sia necessario arrivare a un cessate-il-fuoco immediato e dare inizio a negoziati per una pace duratura».
Il tempo passa e Tarazi è preoccupato per la sorte dei suoi giovani, quelli che frequentano abitualmente il laboratorio. «Hanno tutti dai 14 anni in su e al Centro si preparano a diventare le maestranze del domani, falegnami, elettricisti, meccanici». «Attraverso l’insegnamento e l’avviamento al lavoro – spiega il coordinatore – riusciamo a offrire loro qualche prospettiva. Molti provengono da famiglie povere e, per questo, non hanno potuto studiare. Insegnare un mestiere è il modo migliore per renderli capaci di costruirsi un futuro anche dentro Gaza». Speranze infrante dai bombardamenti israeliani e dai razzi di Hamas. Gaza sembra avere solo un futuro di guerra e distruzione che non si ferma nemmeno davanti alle scuole. Quella distrutta a Beit Hanun, nel Nord della Striscia, apparteneva all’Unrwa (l’ente dell’Onu per i profughi) e vi avevano trovato riparo numerosi sfollati. Almeno 17 i morti (alcuni dei quali bambini), mentre sono 150 i feriti: nella struttura erano ospitate centinaia di persone che avevano cercato riparo dai combattimenti nell’area. «La situazione è sempre più critica. I bombardamenti continuano a Gaza City e al confine orientale della Striscia, da Sud a Nord. Molte case sono state demolite, si registrano numerosi feriti, soprattutto tra donne, anziani e bambini», racconta Tarazi, che ancora non riesce a contattare nessuno dei suoi giovani apprendisti e teme anche per la sede che, dice, «potrebbe essere stata seriamente danneggiata dalle bombe. Purtroppo muoversi per fare una verifica di eventuali danni è pericoloso».
Ma la volontà di andare avanti resiste anche sotto le bombe, in condizioni di grande emergenza: «Abbiamo energia elettrica per una o due ore al giorno, non abbiamo Internet. Tuttavia riusciamo ancora a trovare del cibo. Bisogna pensare alle migliaia di sfollati che hanno trovato rifugio nelle scuole in diverse zone della Striscia». Derrate alimentari sono fornite dalle organizzazioni internazionali e in parte dal Governo. Ognuno cerca di dare il proprio aiuto. Anche la piccola comunità cristiana gazawa. «Come cristiani contribuiamo a fornire aiuto umanitario per quanto anche noi soffriamo, come tutti, della gravità della situazione. Abbiamo aperto le nostre scuole e le nostre chiese per offrire accoglienza agli sfollati che hanno abbandonato le loro case o che le hanno viste distrutte dagli scontri armati». Con una speranza: «Che un giorno Gaza torni a vivere libera insieme ai suoi abitanti. Con questa consapevolezza affrontiamo i drammi di ogni giorno».
«Basta!»: guerra a Gaza, l’appello: Issa Tarazi
La speranza: “Che un giorno Gaza torni a vivere libera insieme ai suoi abitanti”