Il virtuosismo dei Dream Theater

I Dream Theater non conoscono mezze misure: o li sia ama, di un amore incondizionato, o li si odia, altrettanto vigorosamente.

I Dream Theater non conoscono mezze misure: o li sia ama, di un amore incondizionato, o li si odia, altrettanto vigorosamente. La loro musica spazia dalle architetture e dai viaggi musicali del grande progressive rock degli anni 70 alla dura violenza del metal, da lunghi momenti eterei alternati a segmenti assolutamente frenetici e gonfi di linguaggio virtuosistico. Proprio questa è una delle caratteristiche più discusse del loro sound: le vertiginose scariche di note, le interminabili sequenze di scale e arpeggi eseguiti dagli strumentisti a velocità folli. Momenti in cui talvolta, obiettivamente, il confine tra valore artistico di un elemento dell'arrangiamento e la pura esibizione muscolare è molto labile. La musica del quintetto di Boston è sicuramente tra le più complesse che si possano ascoltare, considerando i progetti di un certo successo commerciale.

Ormai definitivamente consacrata a livello mondiale, la band sembra aver definitivamente superato il difficile momento dell'abbandono di Mike Portnoy, batterista e fondamentale anima compositiva del progetto, ed aver perfettamente integrato nei propri meccanismi il nuovo mago delle bacchette, Mike Mangini. Proprio l'anno scorso è uscito il primo album in cui Mangini ha potuto dare un concreto apporto compositivo. Il tour seguente, già passato in Italia a inizio anno, ha aggiunto tre date estive in Italia, ed ha fatto tappa a Grugliasco, per il cartellone del GruVillage.

il pubblico del live dei Dream Theater al GruVillage

Nella serata di Grugliasco la band ha fatto sfoggio di un ottimo stato di forma e ha mostrato di aver trovato nuova serenità con Mangini alle pelli. Tecnicamente Mike è uno dei migliori al mondo (detiene tuttora alcuni record mondiali relativi alla tecnica dello strumento) ed è perfettamente in grado di interpretare il difficile ruolo che Portnoy portava sulle proprie spalle, oltre all'esecuzione delle complesse parti di batteria, di fungere da perno ritmico per la selva di stacchi e attacchi su cui si reggono i complessi mosaici di note composti. Un batterista solido e molto abile, ma meno felice dal punto di vista del gusto musicale, meno raffinato del predecessore: lo dimostrano gli assoli, spesso niente più che lunghe sequenze consistenti semplicemente nel toccare più cose possibili nel modo più veloce possibile. La serata è stata divisa in due parti, nella prima la band ha proposto il materiale più recente, con brani provenienti dagli ultimi tre album (sei quelli estratti dall'ultimo lavoro) e uno da “Falling to infinity”, album che la band non ha mai troppo amato ma che evidentemente contiene qualche perla a cui i cinque non sanno rinunciare. Nella seconda fase sono stati proposti i brani di Awake, uno dei migliori lavori della band, di cui ricorre l'anniversario, e una suite ridotta da Metropolis parte 2 del 2000. Insomma sono emerse entrambe le facce della medaglia Dream Theater: la produzione più vecchia e celebre della band e una fotografia del suo presente. Il nuovo materiale è di buon livello e caratterizzato da solidità e grande omogeneità: in qualche modo dopo tanti anni si è consolidato il sound, un marchio di fabbrica dagli stilemi inconfondibili. Tuttavia, rispetto ai pezzi di Awake e Metropolis, perde inevitabilmente in varietà e originalità. Nei brani più vecchi il crossover tra i generi è sicuramente più deciso, più ardito, il connubio tra forme musicali più puro e spiazzante: in qualche modo c'è un' atmosfera che manca nei brani più recenti. La performance è stata senza dubbio di ottimo livello, degna della reputazione di Labrie e soci. Petrucci, le cui scelte tricologiche lo rendono sempre più somigliante a uno stregone uscito dalla penna di Tolkien, ha snocciolato con disinvoltura le sue cascate di note, talvolta intrecciandosi con I Synth di “Wizard” Rudess (anche lui manco a dirlo non ha perso il vezzo della barbetta merlinesca) e il basso di Myung , in uno di quei frequenti duelli a colpi di note. Piuttosto in forma anche James Labrie, che con gli anni sembra essersi definitivamente rappacificato con gli acuti, che tanti problemi gli avevano causato in passato. Purtroppo la qualità sonora non è stata altrettanto brillante: spesso i suoni erano poco definiti, forse più adatti alla brutalità di un concerto trash metal che alle sfumature del progressive, e su qualche pezzo la regolazione dei volumi è stata decisamente poco soddisfacente. Nonostante questo la serata è stata molto piacevole e dal punto di vista della performance live ha confermato pienamente che, quando si tratta di musica dal vivo, davvero i cinque non perdono un colpo.

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