M.k., 20 anni di (Pan)Sonica

Sabato a HMA

Tra gli amanti della musica indipendente della mia generazione ci sono due album che hanno segnato in modo indelebile il rock italiano degli ultimi 20 anni. Si può fare una lista che conta minimo 10 pezzi prodotti e pubblicati durante gli anni ‘90, una fase di estrema prolificità, capaci di dare emozioni forti, ma dovendo ricondurre tutto ad un podio di album è sicuro che non resta che scegliere il gradino più basso con gli altri posti occupati da “Hai Paura Del Buio?” (Afterhours) e da Catartica. Correva il ‘94 e una band di giovani cuneesi si cimentava con 2 chitarre, basso e batteria. Avevano attraversato gli anni ‘80 indenni catapultandosi nei ‘90 con prospettive di carriere rispettabili (con tanto di lauree in tasca). Invece un paio di incontri hanno cambiato radicalmente le loro vite: Gianni Maroccolo (esperto produttore che aveva accompagnato i CCCP nella loro trasformazione in CSI a diventare la band icona della musica indipendente) ne lanciò la carriera trasformando i Marlene Kuntz da band sostanzialmente “di nicchia” in fenomeno nazionale.
Come i fuochi nascono sempre da una e una sola scintilla, anche un’epopea musicale si genera allo stesso modo, con un’idea; forse neanche tanto originale e sicuramente più derivativa (definirli “echi” i suoni presi in prestito dai Sonic Youth è poco) di quel che sarebbe diventato poi il loro suono. A quell’epoca però la loro musica era aria nuova, nuovissima nei polmoni. La (parola) migliore era “M.K.”, con le lettere scandite, una alla volta, all’inglese (“'ɛmme”; “keɪ”); la sessualità più marcata (nei testi, “Kuntz”) celata dalla delicatezza melodica e di ruggine sferzante sulle chitarre (di “Marlene”, Dietrich). Dicotomie e colori in contrasto bianco e nero, come il loro logo: una delle più belle ballate d’amore che sia stata scritta in Italia (così è stata definita) come Nuotando Nell’Aria faceva da turbinio passionale nei Licei cuneesi, dove quel tal “prof di filo ne era amico”, nelle serate decadenti di una Festa Mesta alla ricerca dell’intimismo prima di deflagrare nel grido di “Sonica!”. Hanno “sparato” sul Cuneo per non morirci, e vi hanno portato qualcosa di nuovo. Quella stagione è oramai finita, come naturale che fosse, ma era giusto ricordarla. Gli Afterhours si sono inventati un tour commemorativo (sui generis) di HPDB?, i Marlene Kuntz hanno atteso i 20 anni di Catartica per pubblicare “PanSonica”. Se uno spera di trovare chissà che cosa da questo disco ne resterà probabilmente deluso: difficile che, nelle pieghe di tagli o materiali scartati, si trovi qualche vecchia B-Sides eccezionale (chi gliel’avrebbe fatto fare di privarsene all’epoca). Di sicuro c’è l’intento di tornare su quell’epoca e ritrovare una band che nel live di Hiroshima (il Capolinea di Entracque ha chiuso da anni e il Kerosene un ricordo stinto per pochi), a casa, darà il meglio di sé (come ha sempre fatto) e che per una volta ha reso questi luoghi di confine un centro piccolo, ma nevralgico della musica italiana.

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