Un lessico da ripulire, perché discrimina

 “Anche le parole possono uccidere” – Manifesti in 10mila parrocchie – Battaglia di civiltà

Un africano chiamato negro, un arabo chiamato terrorista, una donna rom chiamata ladra, un ragazzo chiamato ciccione. I volti sono squarciati e frantumati da queste parole, usate come se fossero armi. Sono le immagini forti usate nella Campagna “Anche le parole possono uccidere” promossa da Famiglia Cristiana, Avvenire, Fisc, agenzia Armando Testa, contro ogni tipo di discriminazione, con l’hashtag concept #migliorisipuò. La campagna – presentata giovedì scorso alla Camera dei deputati – sarà diffusa anche in 10mila parrocchie. «Vogliamo che cresca una società più tollerante e meno discriminatoria – ha spiegato don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana –. In Italia si torna ad urlare nelle piazze contro gli immigrati scaricando su di loro i mali della crisi e di questa società». Don Sciortino ha citato i dati di una inchiesta secondo cui il 66% degli intervistati ha dichiarato di essere discriminato almeno una volta nella vita. «Oggi è molto comune essere oggetto di discriminazione, non solo per gli immigrati – ha detto –. I rom sono considerati ladri a prescindere da qualsiasi comportamento. Vogliamo portare avanti una battaglia di civiltà. Bisogna tenere a freno la lingua perché le parole sono come proiettili».
Per Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, questi temi sono «parte di un nostro modo di comunicare. Oggi c’è bisogno di una alfabetizzazione nuova perché c’è un uso smodato delle parole che uccidono. C’è stato in questi anni un processo di imbarbarimento, di involgarimento e di incattivimento sui giornali». Le quattro parole chiave – negro, terrorista, ladra, ciccione – «non sono scontate – ha puntualizzato –. I giornali di ispirazione cattolica sono da sempre dalla parte di quelli di cui si dice male ma non per buonismo e pietismo». Don Bruno Cescon, vicepresidente della Fisc, a nome dei 190 settimanali diocesani ha sottolineato che «un linguaggio neutro non esiste. Le parole hanno sempre un significato e conducono da qualche parte. I nostri settimanali cercano di essere presenti dovunque, vicini alle famiglie. Scardinare pregiudizi e parole non è facile, a noi spetta il compito di sentirci corresponsabili di ciò che accade ». Marco Testa, presidente del Gruppo Armando Testa, ha precisato: «Questa campagna può essere giudicata un po’ forte ma io spero possa entrare nell’anima della gente e far nascere dei dibattiti».

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