A fine anno in una rubrica come questa si tirano un po’ le somme, si cerca di rilevare la temperatura dello “stato delle cose” e ci si immagina il possibile futuro.
Primo dato. È incontrovertibile come stiano cambiando usi e costumi di chi ascolta musica e di come questa venga fruita: la liquefazione dei supporti è stata sdoganata; anche gli mp3 sono brontosauri. Il nuovo che avanza si chiama streaming (condivisione di dati senza necessità di scaricarli sul pc); le webzine (Rockol o Rock-it) propongono uscite in “preview”, su siti dedicati (Soundcloud) gli artisti caricano autonomamente la loro musica e la veicolano senza uso (almeno iniziale) di supporti o intermediari. La musica si muove su internet, e spesso lì rimane. L’offerta c’è, è numerosissima e a stento si fa fatica a contarla tutta; quello che viene proposto, su radio e televisioni (o che ottiene visibilità) non è che la microscopica punta di un iceberg, decisamente più vasto sotto il livello di galleggiamento.
Secondo dato. Viste le premesse, ci si chiede quanti di questi trovano uno sbocco al proprio operato e, in questo marasma distributivo, tra coloro che riescono a emergere cosa rappresentino. Sempre e comunque una piccola parte di un tutto. Si tratta del “solito problema” della rappresentatività di chi si sente escluso? Credo che il nodo del dibattito si giochi ancora sul postulato di base, quando si parla di espressioni “artistiche”, tra ciò che viene considerato e apprezzato su larga scala, e perciò considerato “di consumo”, e quello che invece viene “scoperto” da pochi e perciò “d’avanguardia” o, peggio con accezione un po’ negativa, “d’èlite”; tra cultura da mass market e cultura alternativa. Ma alternativo a cosa? Al gusto della gente o a un pensiero standardizzato. Se i live (diventati oramai unico vero mezzo di sostentamento degli artisti) in provincia attirano mediamente un centinaio di persone e per raccogliere le masse bisogna investire decine di migliaia, quando non centinaia, di euro, è un problema di economia o di cultura?
Conclusioni. Chi può tenere il colpo sono grandi realtà in cui si possono fare investimenti, dove non si ha più coraggio di investire sulle novità; nascono così tante realtà di sottobosco (vedi la INRI). Data la ricorrenza, non si può che chiudere con un augurio; si resta in “Granda”: Airportman, Amemanera, Athene Noctua, Collett_EVO SSR, Deb e i Mostri, Flying Disk, Kippi’s, Macabra Moka, Moncada, Le Note Che Non Vuoi, Litio, Lou Tapage, Madyon, Mano, Materialisti Tristi, Roncea, Ruggine, Sims, Window Shop For Love, Yavanna sono artisti cuneesi che si sono lanciati in una produzione nel 2014; venti. Un numero non da poco, alcuni di loro hanno chiuso i battenti o stanno per farlo; fisiologico. Meno naturale che pochi conoscano questi nomi (ripetibile in qualsiasi altro più o meno grande). Chi per una ragione chi per l’altra, meriterebbero invece di essere (almeno in ambito locale) conosciuti e ascoltati. La speranza è che nel 2015 possano avere questa opportunità.
Musica da mettere sotto l’albero
È tempo di bilanci