Verdena, sciabolate di cesello

All’ascolto del 1° Endkadenz

In Italia la musica, che per cultura poggia il proprio repertorio classico nell’opera lirica, ha da sempre subito il fascino della melodia, con buona pace del pop e meno del rock, costretto ad adattarsi a questa tradizione. Sono tante le esperienze che si sono succedute negli anni e tanti gli esempi che si potrebbero fare che solo in un contesto italiano possono essere definiti come “rocker”. I Verdena invece sono una delle poche band capaci di misurarsi con questo genere con un’accezione più larga del termine, internazionale, rispetto a quella locale del nostro Paese; diventando così una realtà capace di muoversi con sufficiente disinvoltura nel mondo del mainstream pur non facendone parte in modo diretto (la realizzazione dei dischi è quasi interamente prodotta “in casa”). Da curioso e giovane esperimento agli esordi del “Valvonauta” e del “Grande Sasso”, con il Suicidio dei Samurai hanno poggiato solide basi, in Requiem se ne sono viste le potenzialità e con Wow è arrivata la definitiva consacrazione (la data di Torino a fine marzo è sold out da settimane). A dispetto di un mondo in cui vige sempre la regola della visibilità (a rischio di essere dimenticato), questi tre ragazzi di provincia e che alla “Provincia” appartengono, dopo una lunga pausa passata in studio sono tornati a distanza di 4 anni (finalmente) con una “opera omnia” intitolata Endkadenz (il primo volume è uscito a fine gennaio, per il secondo occorrerà attendere inizio maggio).
Il disco? La qualità che fa dei Verdena una band rispettabile, è quella di fare musica da anni senza alcuna riverenza nei confronti del mondo esterno (sia esso pubblico o critica): si compone, indipendentemente da tutto e da tutti; ecco la scelta di registrare il nuovo disco con un piccolo registratore magnetico (come si faceva prima del digitale e dei Compact Disc) e di creare una pasta sonora disturbata e quasi fastidiosa all’ascolto, di attraversare la storia del rock dai REM (l’introduzione di chitarra su Puzzle) al grunge dei Nirvana e alle note degli Smashing Pumpkins di Mellon Collie in Un po’ Esageri e Derek, di presentare un pezzo come Nevischio che pare uscito da Wow, o Inno del Perdersi con rimando ai Motorpsycho. Nei Verdena c’è un po’ di tutto, ma c’è soprattutto la voglia di finalizzare il proprio lavoro al live, una inarrestabile voglia di artigianato, dove si crea nel nome della ricerca artistica, oltreché estetica. E in questo Endkadenz, che pare rappresentare, almeno per il momento (i volumi saranno due e richiedono sedimentazioni di ascolti), una fase di passaggio rispetto ai Samurai o a Wow e per quanto i suoni sembrino più sferzate di sciabola che attacchi in punta di fioretto, la parola chiave che si potrebbe scegliere è quella di cesello piuttosto che scalpello.

Verdena “Endkadenz Vol.1” 2015, Black Out/Universal. Rock

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