Sei mesi di reclusione: questa la pena chiesta dal pubblico ministero, il vpo Alessandro Borgotallo, per due persone accusate di aver soffocato cuccioli di cane. Se ne salvò soltanto uno, che coi suoi guaiti attirò l’attenzione di una volontaria della Lida che poi trovò il fagotto: i suoi tre fratellini erano chiusi in due borse di plastica insacchettate l’una dentro l’altra. Avevano appena un giorno di vita.
Per quei fatti, risalenti al 2012, oggi sono a processo G.P. e A. G., marito e moglie, residenti a Ormea. Sono accusati di uccisione di animali. In udienza mercoledì scorso, a Mondovì, accusa e difesa hanno esposto le loro conclusioni. Fu la Forestale, dopo la segnalazione, a individuare la coppia di Ormea. I due ammisero di essere stati loro a chiudere i cani nel sacchetto, ma dissero (come poi ribadito in aula assieme ai loro difensori, gli avvocati Bellotti e Barzelloni) che i cuccioli erano già morti nelle ore precedenti. Uccisi non dal soffocamento ma da un batterio (l’escerichia coli). Nella scorsa udienza però periti del pm e della difesa avevano affermato che la malattia avrebbe potuto causare la morte dei cuccioli, ma che non era possibile “accorgersi” del batterio.
La Lida (Lega per la difesa degli animali) è parte civile nel processo, rappresentata dall’avvocato Thomas Bassino: «Dal dibattimento è emerso più volte che non ci si poteva non accorgere della vitalità di un cucciolo che poi riuscì a farsi udire con i suoi guaiti da oltre 50 metri. E inoltre il batterio di cui si parla avrebbe dovuto causare anche sintomi diarroici ed emetici di cui non c’era alcuna traccia nel sacchetto». Il giudice Ruggiero ha rinviato a luglio per le repliche e la sentenza.
Cuccioli di cane chiusi in un sacco: chiesti sei mesi di condanna
Di quattro, se ne salvò soltanto uno, che coi suoi guaiti attirò l’attenzione di chi poi trovò il fagotto: i suoi tre fratellini erano chiusi in due borse di plastica insacchettate.