Rendere l'atmosfera di un festival a parole non è mai facile; il festival non è solo musica, o un mero susseguirsi di band, è un vero proprio evento collettivo a 360°.
Decido di prendere parte ad Apolide Rock Free Festival, discendente naturale di quello che era stato fino a pochi anni fa l'Alpette, quasi per caso, senza pensarci troppo, in un giovedì sera di noia. Solo in seguito mi renderò conto che forse un sacco a pelo o una coperta, o anche il semplice dedicare qualche minuto al montaggio della tenda, potevano non essere una cattiva idea: Vialfrè (per il secondo anno consecutivo il festival è stato ospitato nell'area naturalistica Pianezze) dopo le tre di notte diventa molto fredda, anche nel luglio più torrido degli ultimi trent'anni.
Il programma è ricco, ma il lavoro (si frequentano live anche non in età scolare o universitaria) costringe a una prima toccata e fuga venerdì 24 luglio: d'obbligo l'ascolto – per l'ennesima volta – dei perugini Fast Animals and Slow Kids. Come spesso accade a chi arriva da lontano, e complice una serie di sfortunate coincidenze, quando si raggiunge l'area la band è già al quinto pezzo: senza la possibilità di un “riscaldamento”, il muro di suono che la band crea in live ci sbatte addosso come un violento tsunami e si entra in fretta nel giusto mood. Aimone Romizi (il frontman) si getta ripetutamente sul pubblico, e si solleva un polverone simile ad una spessa coltre di fumo; così Apolide ci inghiotte. Il set dura in tutto un'ora, ci si concede qualche birra e due chiacchiere con Romizi nell'area merchandise, in attesa degli Skip and Die. Quello degli olandesi non è forse il mio genere preferito, ma la gente di ARFF sembra apprezzare, e la piega della serata è sufficiente ad accrescere la voglia di tornare il giorno dopo.
Di Sabato la compagnia è più nutrita e si parte con anticipo: alle 18 si ha giusto il tempo di ascoltare alcune domande degli organizzatori a Il Pan del Diavolo nella “Boobs Area” invece che pensare alla tenda. Ci si guarda attorno, si studia il territorio, e appaiono cose che il buio della sera prima aveva nascosto ai nostri occhi: un barbiere, un massaggiatore shiatsu e un banchetto di abiti e accessori fetish che arricchiscono l'offerta di chincaglierie ed oggettistica handmade degli stand presenti all'ingresso, tra i campi di beach volley e chi si esibisce in numeri di giocoleria. Che festival sarebbe altrimenti?
Il Terzo Istante attacca, con lieve ritardo rispetto al programma, verso le 20.30 ma, concentrati sulla coda chilometrica per la pizza, li sentiamo solo di sottofondo. Si arriva davanti al palco in tempo però per essere trasportati da Dardust con il suo set elettronico in cui si distinguono perfettamente le reinterpretazioni (riduttivo chiamarle semplici cover) di Children di Robert Miles e Right Here, Right Now di Fatboy Slim. Artista da riascoltare, in un contesto più raccolto. Scoperto del forfait dei Ninos du Brasil (ai festival capita anche questo) inizia la coinvolgente ora de Il Pan del Diavolo, duo folck-rock palermitano che fa saltare e cantare le centinaia di persone che ormai affollano Vialfrè. La chiusura spetta alla carica garage-blues-punk-rock (e si potrebbe continuare all'infinito con gli appellativi, tanto difficile è ingabbiarli in un genere) dei Movie Star Junkies prima della lunga notte di C'é Serata che alterna musica dance anni '90, rock, elettronica da discoteca, reggae e chi più ne ha più ne metta. Il clima è festaiolo, il giaccio è finito ma i cocktail vengono serviti ugualmente, la polvere è arrivata fin nei polmoni e tutti ballano insieme, sconosciuti si abbracciano come amici di lungo corso e non si può non tirar tardi, fino a cedere alla stanchezza – poco prima dell'alba – mentre il djset imperversa ancora. Si dorme in auto (al diavolo le tende non montate) e fa freddissimo: l'unica nota stonata di un'esperienza da rifare anno dopo anno.