Consiglio a tutti gli appassionati di new wave e sonorità post-punk anni '80 di segnarsi questo nome: Girls Names. Nati nel 2009 a Belfast, inizialmente come duo, da un'idea del leader Cathal Cully, hanno all'attivo tre album: Dead to Me del 2011, The New Life del 2013, e lo scorso 2 ottobre hanno fatto tappa a Torino per la presentazione dell'ultimo lavoro “Arms Around a Vision”. Ecco una band che ci dimostra come a fine 2015 sia ancora possibile fare musica con sonorità che affondano in un genere e in un periodo storico ben precisi, con una visione d'insieme ed un suono moderni e mai troppo nostalgici.
Per queste ragioni la data all'Astoria, nel quartiere San Salvario, si presentava come un piccolo imperdibile evento. Come da abitudine torinese, il live inizia con abbondante ritardo, e già dalle prime note si sente che qualcosa non va. A penalizzare l'ascolto è probabilmente la conformazione del locale, piuttosto lungo e con soffitti bassi, che rende le chitarre del frontman e di Philip Quinn mai del tutto pulite in uscita; il problema è evidente, dato percepibile anche nelle frequenti comunicazioni tecniche col fonico a fondo sala che caratterizzano purtroppo tutta la prima parte del live. L'inconveniente smorza il mood ma non sembra intaccare la performance, che rimane comunque di livello alto. A farla da padrone è la sezione ritmica, egregiamente sostenuta dalla bassista Claire Miskimmin e dal batterista Gib Cassidy, che dialogano alla perfezione costruendo un tappeto di suoni su cui la voce di Cully si insinua quasi come uno strumento ulteriore, senza mai sovrastare la melodia, accompagnata dai riff alternativamente di chitarra o tastiere, di un serafico Quinn che per buona parte del concerto guarda dritto davanti a sé con lo sguardo perso, atteggiamento in bilico tra lo stato di trance e il personaggio impostato di rock star “whatever”.
Trovato finalmente un equilibrio, i quattro partono con una serie di brani senza sosta, fermandosi solo per accordare o ringraziare il pubblico, finalmente in totale empatia. Si inizia a respirare l'aria giusta, tant'è che il bis non si fa attendere e la conclusione ci lascia come sospesi. Uno degli organizzatori dopo qualche minuto raggiunge addirittura la band in camerino per chiedere se avesse finito davvero o ci fosse da aspettarsi qualche altro pezzo. Si esce dal locale con addosso la sensazione che, nonostante le defaillances a livello tecnico, ne valesse davvero la pena.