Santa Lucia: il Santuario, la leggenda… e la battaglia per la tutela

A candidare il Santuario di Santa Lucia a “Luogo del cuore” era stato il Comitato ambientale “Ama il tuo paese”.

A candidare il Santuario di Santa Lucia a “Luogo del cuore” era stato il Comitato ambientale “Ama il tuo paese”, che lo scorso anno è riuscito a consegnare al Fondo Ambiente Italiano una raccolta firme sottoscritta da ben 1.905 sostenitori. Un numero importante, che ha convinto il Fai ad appoggiare la causa del Comitato e ad includere il caratteristico Santuario arroccato sulla valle Ellero tra i progetti approvati dall’Ente nazionale: 23 in tutta Italia, solo due nella nostra regione. Con questa scelta, il Fai si adopera ad appoggiare la “battaglia” del Comitato per la tutela dell’area, che tuttavia non si riduce a quella strettamente circoscritta al Santuario, ma comprende, almeno nella perimetrazione originaria, tutta la collina di Monte Calvario, dalla croce alle pendici, incluse le cave, Villavecchia, la borgata dei Rulfi a Roccaforte e i Dossi a Villanova. Ed è su questo aspetto che il progetto incontra le perplessità degli amministratori.

«Un risultato importante, ora guardiamo alla Regione»
«Un risultato importante – spiegano dal Comitato ambientale –, che dimostra la bontà della nostra causa. Essere scelti, su centinaia di progetti presentati, non era affatto semplice. Adesso il Fai appoggerà la voce del Comitato presso la Regione, che dovrà esprimersi forse già entro l’anno». Ora, toccherà proprio all’Ente regionale pronunciarsi definitivamente sul caso. La nuova commissione, insediatasi nel settembre scorso, riprenderà in mano la questione del Momburgo, ascoltando le proposte e le richieste del Comitato, valutando la possibilità di prescrizioni e di vincoli, ma sempre in relazione con le necessità dei cittadini. E in Regione, oltre alle proposte del Comitato, arriverà anche la lettera del Fai.

Vincolo su Monte Calvario? «Contrarissimi»
L’idea di un vincolo ambientale su Monte Calvario non piace a molti, in primis agli amministratori: «Il Santuario di Santa Lucia e il relativo recupero – spiega il sindaco Michelangelo Turco – è un intervento che ci sta molto a cuore e che avevamo inserito anche nel programma elettorale. Non possiamo intervenire direttamente, perché si tratta di un bene di proprietà parrocchiale, ma è già stata istituita una commissione di studio apposita. Qualsiasi provvedimento di tutela del Santuario è ben accetto, ma siamo assolutamente contrari a un vincolo su Monte Calvario». D’accordo anche il primo cittadino roccafortese Riccardo Somà: «Sulla zona insistono già dei vincoli, tutelare il bene è interesse di tutti, ma un vincolo paesaggistico “indiscriminato” non è la soluzione».

L’intervento sulla strada d’accesso
Buone notizie in arrivo sulla strada d’accesso, ormai da tempo danneggiata da uno smottamento a valle che ne restringe la carreggiata, rendendo difficoltosa la salita al Santuario. «Prima di tutto – continua il sindaco villanovese – dobbiamo intervenire sulla strada: solo con una strada adeguata si potranno realizzare dei lavori sul Santuario. L’intervento era già stato previsto dalla ex Comunità Montana e aveva trovato finanziamento all’interno di un più ampio progetto sulla viabilità nei Comuni di Frabosa Sottana, Villanova e Roccaforte». Il progetto è oggi in mano all’Unione Montana, ma i fondi Ato sono ancora bloccati. «Si spera – conclude – che la situazione si sblocchi entro l’anno e che dopo l’inverno si possa intervenire».

La storia del Santuario sulla roccia
ERNESTO BILLÒ
L’annunciato stanziamento del FAI per il Santuario di Santa Lucia è un bel segno d’attenzione per un luogo sacro di rilevanza religiosa, storica e paesistica, caro a molte generazioni ma da anni in cerca di rilancio secondo una funzione aggiornata con i tempi e, preventivamente, di una difesa dal degrado e dai rischi di cave di ghiaia che si fanno sempre più vicine.
Lo svettare del suo campaniletto, il pittoresco loggiato a più piani sul fianco del Monte Calvario accompagnano chi percorre la strada fra Villanova e Roccaforte; e chi vi si inerpica fino ad affacciarsi da quello spiazzo o da quegli archi si appaga di un’ampia vista sulla valle dell’Ellero e sui monti. Un’oasi di serena contemplazione nel ricordo di un passato non trascurabile, perché qui si veniva per devozione, per pregare la martire siracusana protettrice della vista e bagnarsi gli occhi all’acqua “miracolosa” che gocciolava dalla roccia, per vivere alcuni giorni di ritiro spirituale o per festeggiare tra il sacro e il profano la Pentecoste con una folla di gitanti. Allora si stendevano le tovaglie sull’erba e sotto il profumo di resina dei pini, e si merendava con salame di casa, insalate, formaggi, torte di frutta e un bel po’ di bottiglie. Intanto il banco di beneficenza attirava con le sue semplici sorprese; più in basso, la fisarmonica e il clarino invitavano al ballo a palchetto sotto il tendone conico. I bambini assediavano il carretto dei gelati; poi, intimoriti ma curiosi, adocchiavano l’eremita (ce n’era uno qui al Santuario e un altro su al Monte Calvario), oppure si arrampicavano sulle rocce affioranti d’ogni dove. E ogni famiglia, a sera, prima di risalire sul birroccio o di dirigersi a piedi verso la stazioncina della tramvia, se ne tornava con un profumato mazzetto di “bamban-a”.

Com’era nato questo Santuario rupestre, esempio raro nelle nostre zone? Secondo la leggenda, da una pastorella sordomuta che, mentre pascolava le mucche presso un pilone dedicato a Santa Lucia là dove il torrente Lurisia confluisce nell’Ellero, vide apparire una Signora che le chiese di far spostare il pilone più in alto, nella grotta che si apriva sul fianco del monte. Santa Lucia in persona, evidentemente: che le ridonò per miracolo la parola. Così la fanciulla poté spiegare a tutti la richiesta e ottenere che l’immagine della santa fosse spostata nella grotta, al riparo dalle ricorrenti inondazioni del torrente.
Fatto sta che nel 582-83 il visitatore apostolico mons. Scarampi già vide l’affresco nella sua nuova sistemazione, e quattro anni dopo, nel 1589, una lapide affissa per voto dall’avvocato Clemente Vivalda, un patrizio di Mondovì, ritrasse la grotta, l’altare, la santa, la doppia scala tagliata nella roccia. Tanto il concorso di devoti già allora, sicché la cappella dovette essere allargata ad una seconda cavità e il sito dotato di un edificio a più piani in muratura davanti alla grotta con arcate verso valle, un campaniletto triangolare, locali per il cappellano, per il custode-eremita e per i pellegrini. Più tardi ancora fu affiancato da un corpo più basso e lungo a tre piani con logge ad archi ribassati, con celle per monaci e per ritiri spirituali. Inoltre, di fianco all’ingresso della cappella rupestre, una cappella in muratura con forme e decorazioni baroccheggianti, e sull’altare un dipinto di Francesco Toscano. Nel Santuario vero e proprio, invece, due altari: uno dedicato alla Madonna e uno a Santa Lucia, con – entro una nicchia – una statua di fine ‘500. Su un lato, un cartello lascia intravedere un misterioso cunicolo roccioso che forse raggiunge la Grotta dei “Dossi”. E in un angusto sottotetto, nel dicembre 1944, trovarono rifugio dalle ire nazi-fasciste i comandanti partigiani Cosa e Giacosa e don Beppe Bruno, prete dei ribelli, soccorsi dalle coraggiose suore di Villavecchia, missionarie della Passione.

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