73 anni fa: il calvario dei nostri Alpini in Russia

Nel crudo gennaio del ‘43

73 anni dopo, ferite ancora aperte nel cuore della nostra gente. In questi giorni l’ANA di Mondovì e Ceva invitano a ricordare il terribile gennaio del 1943 dei nostri Alpini in terra di Russia. Due disperate battaglie per uscire dalla sacca in cui erano stretti dai soldati e partigiani russi: la Divisione Cuneense a Nowo Postojalewka, la Tridentina a Nikolajevka. Tragedie causate da una guerra e da un’alleanza sventurate.
1941: con Hitler contro Stalin - Nonostante il patto di non aggressione stipulato con Stalin nel 1939, Hitler nel giugno del 1941 aveva scatenato la poderosa operazione “Barbarossa” contro l’Unione Sovietica puntando ad una rapida vittoria che gli assicurasse grano e petrolio per la guerra e per l’assalto definitivo all’Inghilterra. All’inizio l’avanzata era stata travolgente, tanto che Mussolini aveva chiesto di parteciparvi con uomini del CSIR. Mosca e Leningrado avevano subìto un lungo durissimo assedio, ma la resistenza sovietica si era organizzata ricorrendo anche alla terra bruciata, mentre l’inverno bloccava l’avanzata. Nell’estate del ’42 i nazisti avevano occupato la Crimea, oltrepassato il Don e raggiunto il Caucaso. A fine agosto avevano investito Stalingrado che stava resistendo ad oltranza intrappolando le truppe di von Paulus.
Fu allora che il Duce volle inviare in Russia altre truppe italiane: l’8ª Armata del gen. Gariboldi e gli Alpini del gen Nasci, con le Divisioni Cuneense, Julia, Tridentina. Sgomento e cattivi presagi alla partenza di quelle tradotte, e disappunto allorché per contenere un’offensiva russa i nostri Alpini si videro avviati non sui monti del Caucaso bensì nelle pianure del Don. Un fronte troppo vasto, mal rifornito ed esposto ad accaniti attacchi dei “partizan” che provocavano pesanti perdite di uomini e di mezzi. Tanti i personali episodi di valore, ma fatale infine il coinvolgimento in una tragica odissea.
Già nell’ottobre ‘42 la prima neve e primi congelati. A metà dicembre i russi tentarono un accerchiamento; a Natale attaccarono reparti del Mondovì, del Ceva, del Saluzzo, mentre la vicina Divisione tedesca ripiegava. A metà gennaio del ’43 l’offensiva sovietica riprese, micidiale, a 35 gradi sotto zero. I carri armati russi puntarono su Rossosch dov’era il Comando alpino, e i duemila uomini rimasti col gen. Martinat dovettero fronteggiare il fuoco dei carri con moschetti e bombe a mano. Più di seicento i caduti, e necessario spostarsi su Postojali e ripiegare su Waluiki-Rowenki. La Cuneense e la Tridentina subirono altri assalti, e il 17 gennaio ricevettero l’ordine di ripiegare ancora, come già era toccato alla Julia.
Uscire dalla sacca - Tutto il fronte era ormai in rotta., Divisa in due colonne, la Cuneense raggiunse Popowka, ma la sua marcia fu una catastrofe sotto l’incalzare dei russi. Si dovettero abbandonare feriti e congelati, come pure i bagagli, e cercare un varco per uscire dalla sacca. Con la Julia, quelli della Cuneense mossero da Popowka verso Waluiki; ma dal villaggio di Nowo Postojalowka furono bloccati dai cannoni e dovettero ingaggiare un’impari disperata battaglia.
Nella notte del 20 gennaio il Ceva e il Mondovì tentarono un attacco frontale, ma non poterono far altro che strisciare sulla neve fino alle case per affrontare i carri con bombe a mano. I russi avevano ricevuto rinforzi, e fecero ancora altri caduti e prigionieri. Vana la richiesta dei generali Battisti e Ricagno e del col. Manfredi del “Mondovì” per un appoggio di batterie nostre. Allora essi lanciarono cinquemila uomini all’attacco sotto un fuoco micidiale che arrossò la neve di sangue. Tra gli altri cadde il maggiore Trovato del “Mondovì” e fu sostituito dal cap. Ponzinibio. Il cap. Avenati, in testa ai superstiti del “Ceva”, benché ferito, affrontò un carrarmato con la pistola e una bomba a mano. Le munizioni ormai erano finite, e il gen. Battisti ordinò al col. Manfredi di bruciare la bandiera del “Primo Alpini” perché non cadesse in mano nemica. Poi lanciò il 2º Reggimento all’attacco anche all’arma bianca. I russi si rinserrarono in Nowo Postojalowka e gli alpini non passarono: lasciarono nella neve altri morti, feriti, relitti, fin che la lotta si spense per esaurimento, con perdite orrende.
Il 28 gennaio ’43 la resa a Waluiki - Per sganciarsi dalla morsa, la Cuneense dimezzata cercò di aggirare il villaggio per puntare poi, forse, su Postojali. Nell’oscurità, gemiti, urla, invocazioni; comunque in marcia, con in testa il Dronero, in retroguardia i resti del Mondovì. E ancora perdite per sfinimento, ferite, congelamenti. Tra i capi perduti, il gen. Martinat, il col. Luigi Manfredi, i capitani Mario Battaglia e Giovanni Costamagna, già podestà di Mondovì e presidente del Cai... Il 28 gennaio a Waluiki la resa inevitabile. Ai sopravvissuti toccarono lunghe e rischiose “marce del davài” con la speranza di un ritorno in patria, o verso un’interminabile prigionia in durissimi lager sovietici. Intanto in Italia attese angosciose di notizie e di rientri spesso impossibili, mentre anche su altri fronti crollavano le “incrollabili certezze” della propaganda fascista.
Stremati da un doloroso calvario - Quel doloroso calvario fu riconosciuto con una medaglia d’oro al Primo Alpini. Questa la motivazione: «Con i suoi fieri Battaglioni “Ceva”, “Pieve di Teco” e “Mondovì”, il 1° Reggimento Alpini, stremato dal doloroso calvario di freddo e di fatiche e dai sanguinosi incessanti combattimenti, in un’atmosfera di sublime eroismo e dedizione al dovere, concluse la propria leggendaria vicenda tra il Don e l’Oskol con una disperata resistenza facendo scudo, fino all’estremo sacrificio, alla sacra ed immacolata bandiera che – simbolo della Patria lontana – distrusse per sottrarla al nemico. Fronte russo, 20 settembre 1942 - 28 gennaio 1943».
Ora, 73 anni dopo, col rito di suffragio e la rievocazione di quei sacrifici, il nostro dovere di coltivare una vera volontà di pace e di ripudio di ogni guerra, violenza, ingiustizia.

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