Luis Buñuel è stato uno dei principali esponenti del cinema surrealista, abituato a confrontarsi molto spesso con l’analisi dell’io, l’irrazionalità e la natura dell’inconscio. Il suo linguaggio e i suoi film sono stati spesso connotati di un carattere trasgressivo e irriverente, volti a criticare pesantemente la vita borghese e il mondo “benpensante”, inviso alla dittatura franchista da cui scappò per rifugiarsi esule a Parigi. Il nome di Buñuel oggi non si associa solo al grande regista spagnolo, ma può servire anche a capire il mondo nel quale hanno deciso di muoversi Pierpaolo Capovilla e Franz Valente (entrambi membri de Il Teatro degli Orrori), Xabier Iriondo (chitarrista estroso degli Afterhours) e Eugene S. Robinson, quando hanno scelto il cognome del cineasta per identificare la loro nuova esperienza musicale. Il disco dei Buñuel nasce e si sviluppa in Italia, per quanto concerne gli aspetti musicali: Capovilla torna, come ai tempi degli One Dimensional Man, a suonare il basso, mentre vede in Robinson, frontman degli Oxbow (band californiana di rock, noise e sperimentale), la testa pensante, e cantante. Il progetto è assai curioso e fuorviante rispetto a quanto ci si potrebbe immaginare, non appare come un prodotto costruito a tavolino con l’intento di arrivare ad un pubblico ampio, quanto più la voglia di quattro musicisti di provare e mettersi in gioco, insieme. Se questo può essere considerato l’obiettivo, si può dire che i Buñuel abbiano centrato nel segno. Il disco non è affatto facile da ascoltare. C’è tanto suono, tanto rumore distorto, tanto di tutto: bisogna essere un po’ allenati a quel che si ascolta, ma la ricchezza di suggestioni sonore e testuali non lascia di certo indifferenti. I Buñuel pestano e fanno sangue, riempiono il silenzio; l’impatto e il ricordo hanno rievocato certe esperienze vissute ascoltando i Jesus Lizard. A Robinson è stato chiesto quanto surrealismo e quanta politica ci sia in questo modo di fare musica. Nell’affermare (un po’ come fa Capovilla) che tutto è politica e cantare che la verità è questione di politica, questo progetto poteva avere solo due riferimenti (e chiamarsi con uno dei due nomi), per contenuti e proiezioni immaginifiche: (Orson) Welles, da solo, non era sufficientemente evocativo come quello scelto.
Buñuel, dissacralità anche in musica
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