Nicolas Roncea
Roncea & the Money Tree 2016, autoprodotto.
Di Nicolas Roncea si è già parlato spesso perché, insieme a Mano, considerato una delle realtà autoriali (sebbene scriva in inglese) migliori della provincia. Dopo Old Toys e in attesa di vedere alla luce la seconda tranche (nei prossimi mesi) del mastodontico progetto Eight, il cantautore canalese è tornato sulla propria produzione, dando vita a Roncea & the Money Tree, un progetto tra l’ironia egocentrica di chi crea una cover band di sè stesso, il modernariato della reunion un di gruppo di amici (i Fuh) e la voglia di dare nuova vita a quei brani sino ad ora interpretati con suoni esclusivamente acustici. Il punto di non ritorno coincide col secondo ascolto del disco, sul refrain di Weak, quando Roncea canta “It’s late, late, late, I want feel the same”: i ricordi tornano alla mente, si riavvolge il nastro e tutto, da lì in poi, non sarà più lo stesso. L’ascolto muta, l’attenzione cresce e le canzoni che prima apparivano un tappeto stranamente ripetitivo ora diventano riconoscibili: si percepiscono le differenze rispetto alle precedenti versioni e si può apprezzare meglio il lavoro sui brani. Era ora che Roncea recuperasse la dimensione di una band! Le canzoni ritrovano freschezza e dimensione; arrangiamenti più strutturati mostrano come brani interessanti, non esclusivamente da un punto di vista melodico, ma per i testi e per i suoni che si stratificano nota dopo nota. Un bel lavoro che può essere un buon modo anche per avvicinare l’artista e per conoscere pure la sua produzione più acustica.
Airportman
Anna e Sam 2016, Lizard
Primi tra questi sono sicuramente gli Airportman, non fosse che per la longevità che li contraddistingue e la considerazione avuta da riviste specializzate. Paolo Bergese, Marco Lamberti e Giovanni Risso sono giunti alla tredicesima pubblicazione; ad Anna e Sam hanno partecipato con loro – dopo alcune esperienze condivise con Weeds, the Road e Modern – due volti noti della scena torinese come Lalli e Stefano Giaccone (insieme, a cavallo tra gli ‘80 e i ‘90, nei Franti). Gli Airportman da anni suonano in quegli ambienti sonori dove si ragiona più per sottrazione che per addizione; per questo forse il loro genere può essere accomunato al post rock. Il rock sta nella voglia di spingersi all’estremo del genere, là dove tutto diventa etereo, dove è sufficiente una nota di pianoforte, quelle di una chitarra, un barrito di sax o ancora tappeti sonori elettronici. La musica è fatta di note sospese nel tempo, tra spazi di silenzio, gorgheggi vocali (quelli di Lalli, riuscitissimi) o testi intimi (quelli di Giaccone, un po’ meno). Il notturno di Airportman è un mondo dove il suono è lo stimolo più forte di una ricerca che non smette di affascinare.