Se le nostre chiese non fanno più “sold out” alla domenica… c’è una rotta da invertire

La domenica le chiese non fanno ‘sold out’ e, anche quando si arriva in ritardo, si può stare tranquilli che si trova sempre posto a sedere

Leggo con interesse, sul settimanale diocesano di Bolzano-Bressanone “Il Segno”, un resoconto-commento sulla presentazione del corposo volume di 576 pagine (in testo trilingue) in cui si sono raccolti gli Atti del Sinodo di quella Chiesa locale alto-atesina, che ha convocato laici, sacerdoti, diaconi e religiose (in totale 259 delegati) per innumerevoli sessioni plenarie, riunioni di commissione, elaborazione di undici documenti programmatici e di 196 provvedimenti pastorali da adottare, nel corso di oltre due anni di lavoro comune e condiviso. Insomma una Chiesa particolare che si messa in discussione, come popolo di Dio sul territorio, nell’oggi che tocca. Un’annotazione però mi ha colpito, al di là dell’iter sinodale che anche le diocesi della Granda hanno conosciuto a metà anni ’90, con esiti tuttora da soppesare. Si tratta dell’esperienza, vissuta a Bolzano-Bressanone, dei dodici “open space”, organizzati per ascoltare il territorio, a cui hanno partecipato oltre cinquemila persone. Al punto da far scrivere al settimanale diocesano: “Anche in Alto Adige, così come in tante altre parti d’Italia, la domenica le chiese non fanno ‘sold out’ e, anche quando si arriva in ritardo, si può stare tranquilli che si trova sempre posto a sedere. La numerosa partecipazione agli ‘open space’ ci ha dimostrato che, se la gente non va più in chiesa la domenica, questo non significa che non abbia più ‘desiderio di Dio’. Gli incontri, che hanno scandito l’intero percorso del Sinodo diocesano, con gli uomini e le donne che abitano questa terra, hanno di fatto portato la Chiesa altoatesina nelle ‘periferie’. Il Sinodo è andato incontro alla gente e questa ha risposto, trovando il coraggio di raccontarsi e – a volte – anche di sollevare questioni ‘calde’, di cui generalmente si preferisce evitare di parlare. E’ capitato più di una volta che ci sia stato qualcuno che, durante uno dei tanti incontri pubblici, abbia parlato apertamente della propria storia di famiglia in crisi, del fallimento del proprio matrimonio, di malattia o di sofferenza legata ad un lutto personale. Sono state proprio queste testimonianze dirette a far sì che i documenti programmatici ed i provvedimenti del Sinodo non siano un mero esercizio di teologia pastorale o un elenco di buoni propositi”. Certo, anche da noi, nel Cuneese, la consolidata tradizione del passato in merito ad una elevata frequenza nella pratica religiosa è ormai un ricordo più o meno sbiadito. Le presenze assottigliate all’Eucaristia festiva sono lì a evidenziare una stagione diversa, molto cambiata in superficie. Ma non si può cedere alla tentazione di limitarsi a gestire un declino. Papa Francesco chiede a tutte le Chiese, anche quelle più precarie, un’inversione di rotta. Cioè – nel suo appello – debbono provare ad “uscire” allo scoperto. Per intercettare quel “desiderio di Dio” che sta dappertutto (magari nel profondo) e non si è eclissato. Ma come frequentare queste occasioni al largo, pubbliche, in piazza, tra la gente, sulle questioni che valgono? Questi “open space” potrebbero anche disegnarsi on-line? Con quali interlocutori? E’ questa “l’inquietudine” che Papa Francesco chiede alle Chiese che sono in Italia?

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