La domanda che ritorna: “Ma Dio dov’è?”

La domanda sorge nell’animo di molti, davanti a tragedie micidiali come questa.

La domanda non è nuova e contiene una sua drammaticità, perché sorge nell’animo di molti, quando succedono tragedie imprevedibili e micidiali. Come il terremoto che semina distruzione, disperazione e vittime, all’improvviso, nella notte, senza scampo. E’ l’interrogativo riproposto da una lettera su “Avvenire” all’indomani del sisma in Centro Italia, mentre ancora si stavano contando le vittime, tra cui numerosi bambini. “E’ in questi momenti che mi chiedo – scrive al quotidiano cattolico un certo Antonio –: ‘Ma Dio dov’è?’… di fronte a catastrofi cosiddette ‘naturali’ che per me di ‘naturale’ non hanno nulla…”. Ovvio che il direttore risponde, pur non nascondendosi il rilevante peso specifico di simili pensieri, che sono serissimi, tali da spogliare da ogni faciloneria. Meritano attenzione queste parole dello stesso direttore: “La risposta di Dio (al dolore innocente), papa Francesco ce l‘ha ricordato più volte, anche unendo le sue lacrime a quelle di chi gli poneva la questione, è Dio stesso in Gesù vero Dio e vero Uomo, che ha caricato su di sé, per sempre, ‘tutto questo male, tutta questa sofferenza’. Eppure, dice ancora Francesco, non dobbiamo stancarci di chiedere ‘Perché?’, tutti i ‘Perchè?’ generati dal dolore, che ci assediano e che sono già preghiera”. E la riflessione passa di mano, affidandosi – sempre sulle pagine di “Avvenire” – all’economista-editorialista Luigino Bruni che raccoglie lo stesso interrogativo: “Nel mondo c’è il nostro tempo gestito, addomesticato, costruito, usato per vivere. Ma al di sotto c’è un altro tempo: è il tempo della terra. Questo tempo non-umano, a volte dis-umano, comanda il tempo degli uomini, delle mamme, dei bambini. E pensavo che non siamo i padroni di questo tempo altro, più profondo, abissale, primitivo, che non segue il nostro passo, a volte è contro i passi di chi gli cammina sopra. E quando, in queste notti tremende del sisma, avvertiamo quel tempo diverso sul quale noi camminiamo e costruiamo la nostra casa, nasce tutta nuova la certezza di essere erba del campo, bagnata e nutrita dal cielo, ma anche inghiottita dalla terra. La terra, quella vera e non quella romantica ed ingenua delle ideologie, è assieme madre e matrigna. L’humus genera l’homo, ma lo fa anche tornare polvere, a volte bene e nel momento propizio, ma altre volte male, troppo presto, con troppo dolore… Pensavo ai libri biblici di Giobbe e di Qoelet, che forse si capiscono di più in notti come queste dei terremoti. Quei libri ci dicono che nessun Dio, nemmeno l’unico e vero Dio di Gesù Cristo, può controllare la terra, perché anche Lui, una volta che entra nella storia umana, è ‘vittima’ della misteriosa libertà della Sua creazione. L’Onnipotente ed Onnisciente, che oggi guarda la terra delle tre A (Arquata, Accumoli, Amatrice), si fa le stesse nostre domande e può solo gridare, tacere, piangere insieme a noi. Ci ricorda con le parole bibliche che ‘tutto è vanità delle vanità’: tutto è soffio, vento, nebbia, spreco, nulla, effimero. ‘Vanità’ in ebraico si scrive ‘habel’, la stessa parola di Abele, il fratello ucciso da Caino. Tutto è vanità, tutto è un infinito Abele: il mondo è pieno di vittime. Questo lo possiamo sapere. Lo sappiamo, lo dimentichiamo troppo spesso. Queste notti e questi giorni tremendi ce lo fanno ricordare. Ci spronano sulla via della salvezza”. Che passa – c’è da aggiungere – attraverso una croce ove il Figlio di Dio si è calato nell’abisso, ma non per restarne inghiottito.

FOTO: AGENSIR per i settimanali diocesani

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