È la prima volta che a Mondovì, fra i profughi, arrivano donne e famiglie. Hamidah è nigeriana (i nomi sono di fantasia). Ha 31 anni, era studentessa. Poi è dovuta scappare, ora che la situazione è ingestibile, assieme a suo marito e al figlio che nascerà: ha un pancione di otto mesi. Invece Zahrah una figlia ce l’ha, ed è scappata portandola con sé. Il marito l’ha lasciato là, dopo che lui l’ha ripudiata e ha cercato di ucciderla. Così, ognuna con le sue storie, sono scappate a nord e sono arrivate fino in Libia. Dove hanno trovato il caos e, prive di documenti, non hanno potuto far altro che scappare su uno dei barconi della speranza.
L’arrivo dei profughi in centro a Mondovì era atteso da qualche mese. È avvenuto nel silenzio, senza trambusto e senza le tristissime scene di piazza che si sono viste altrove. Oggi sono un piccolo gruppo, tutti nigeriani, sono arrivati in città giovedì e venerdì. Altri ne arriveranno in questi giorni: in tutto saranno 24, di cui la metà bambini. Una decina di famiglie in tutto. Sono ospitati nella palazzina di via Garelli, “Casa Santa Chiara”, oggi acquistata dalla coop Pietra Alta che fa parte della rete-consorzio la Valdocco.
«Qui c’è un progetto di accoglienza strutturato in un modo preciso – ci spiega il responsabile, Lorenzo Signorile –: faremo corsi di italiano, li seguiremo nelle pratiche per i documenti, li faremo studiare per fargli ottenere la licenza di III Media. Inseriremo le famiglie nel tessuto sociale. Abbiamo alcune situazioni particolarmente delicate: una donna incinta, una coppia che arriverà con una neonata di pochi giorni. Nei prossimi mesi cercheremo di far nascere fra di loro un senso di comunità. Qui abbiamo camere in cui possono stare come mini alloggi, hanno una cucina comune. Abbiamo assunto persone della zona per un’assistenza 24 ore al giorno, abbiamo mediatori culturali. Una delle persone assunte è proprio un profugo, di quelli arrivati a Mondovì tanti mesi fa. Il nostro progetto prevede di provare a inserirli anche nel mondo del lavoro con stages e tirocini: quando otterranno un lavoro saranno emigrati che non hanno più bisogno dello status di rifugiato e potranno vivere come ogni immigrato sul territorio nazionale».
nella foto, alcuni fra i nuovi profughi con uno degli assistenti della coop