«Non si tratta di un provvedimento preso a seguito della protesta, ma di una prassi che seguiamo in tutte le strutture nei casi in cui la misura si rende necessaria». A spiegarlo è la cooperativa “L’Isola di Ariel”, che allontanerà alcuni dei “casi problematici” anche dalla struttura di Lurisia. Nei giorni scorsi, alcuni dei circa settanta ragazzi ospitati nell’ex albergo “Everest” erano scesi in strada per manifestare contro la carenza dell’acqua.
Ma l’acqua non era che l’ultimo dei pretesti per manifestare: «Qui non possiamo stare», avevano ripetuto a lungo alcuni ragazzi. I problemi? L’isolamento e l’integrazione come un sogno quasi impossibile. Alcuni di quei ragazzi, nelle prossime settimane, verranno allontanati dalla struttura: «Non c’è nessuna relazione con quella protesta – spiega la presidente della coop torinese Silvana Perrone –, anche se abbiamo insegnato ai ragazzi che ci sono modi civili di manifestare e altri, come bloccare la provinciale, che non sono accettabili. Per noi, l’allontanamento da una struttura è uno strumento di prassi, utilizzato nei casi in cui si rende necessario». Cioè? «Quando i ragazzi rifiutano le nostre regole e i nostri programmi vengono più volte richiamati. Se rifiutano di andare a scuola, se vengono sorpresi nell’accattonaggio o se commettono violenza e non vogliono adeguarsi al regolamento, devono lasciare la struttura. Il loro percorso di riconoscimento dello status prosegue, ma perdono la protezione nei Centri d’Accoglienza straordinaria, che viene offerta dallo Stato. Alcune volte sono i ragazzi che scelgono volontariamente di andarsene, perché col tempo si sono creati magari una rete di rapporti d’amicizia o di conoscenze tali da poter scegliere un altro tipo di sistemazione». È il caso, tra gli altri, di alcuni profughi ospitati a Lurisia, che nelle prossime settimane lasceranno la struttura.