Avevo diciassette anni quando il venerdì 4 novembre ’66 Firenze fu travolta da un’ondata di piena dell’Arno che spaventò e rovinò una città d’arte e storia che non ha pari nel mondo. Ricordo l’angoscia di questi giorni, che si respirava da una Tv in bianco-nero ancora piuttosto annaspante nel fornire le dirette da una catastrofe. Ma bastò per suscitare un’impressione forte. Non fu possibile partire per dare una mano, come fecero tanti “angeli del fango”, i giovani di allora che in anticipo sull’imminente ’68 stavano uscendo da schemi consolidati per assumersi responsabilità, realizzare gesti importanti, farsi protagonisti di tempi nuovi. In quel frangente, si trattò di sporcarsi le mani per salvare vite umane, opere d’arte, libri di valore. Dandosi appuntamento lì, sul luogo del disastro, quasi istintivamente. Avevo 45 anni in quel sabato e domenica, terribili, nel ’94, quando l’alluvione qui da noi fece le sue vittime, travolse un po’ tutto sull’asta del Tanaro in particolare, ci mise in ginocchio per tanti versi. Ricordo la notte tra sabato e domenica, in cui non si riusciva a comprendere la gravità di quanto stava succedendo. E poi il lavoro al giornale, in condizioni precarie, con la voglia e la determinazione di raccontare a più non posso, da ogni angolo del nostro territorio (senza le tecnologie di oggi), per non lasciare nessuno isolato o abbandonato o dimenticato. Un’esperienza, umana, sacerdotale, professionale… che rappresentò una svolta per quanto occorreva mettere in campo, nel farsi testimoni di tutto e di più, tra l’affanno di tanti, in mezzo a tracce di disperazione ed a manciate di lacrime, tra sensazioni diffuse di impotenza e di sconforto. Adesso sono giorni di apprensione per il centro Italia segnato da un terremoto che non finisce più e insiste nel costringere un po’ tutti alla precarietà e forse alla momentanea resa. Insomma eventi che rivelano il limite del creato, in cui gli uomini non sono sempre all’altezza, prestando il fianco con troppe disattenzioni e distrazioni (e prevenzioni mancate). Ma il terremoto, in particolare, sta scoprendo i nervi dell’umanità coinvolta in misura fortissima, perchè ha le sembianze del mostro imprevedibile, capace di colpire all’impazzata, davvero non imbrigliabile più di tanto.
Appaiono stagioni cupe e ricorrenti, scandite da decenni, in cui non perdere la bussola, in cui resistere, in cui riprendersi, ricostruire, tornare a respirare ed a vivere. Ma non da soli. Insieme, inevitabilmente. Soltanto in cordata si possono attraversare queste lesioni alla nostra terra, alle nostre esistenze, al nostro mondo…
Le stagioni dei nostri disastri, a scadenza
Eventi che rivelano il limite del creato, in cui gli uomini non sono sempre all’altezza, prestando il fianco con troppe disattenzioni e distrazioni (e prevenzioni mancate)