Io, Giuseppe Peveri: cantautore. Parafrasando l’ultimo film di Ken Loach (Io, Daniel Blake), quella di Dente è una storia come quelle di tanti altri artisti dei nostri giorni, che oggi assume connotazioni più particolari, che si declinano lungo fattori sociologici e in un certo qual modo più umani. La sua è una categoria che è stata in auge almeno per un trentennio e che oggi, nell’immaginario collettivo giovanile, è stata soppiantata da altri artisti, come i rapper ad esempio, che, per contenuti, modi di comunicare e stile, riescono ad incontrare più facilmente i favori delle giovani generazioni che, più di altre, sono sensibili oppure hanno maggiore tempo da dedicare all’intrattenimento musicale.
Ad ogni generazione corrisponde un personale modo di decodificare, interpretare e dialogare con il mondo esterno, e probabilmente quello dei cantautori non è più contemporaneo: lo dice lo stesso Dente nel brano che apre il suo ultimo disco, Canzoni per metà, «scrivo una canzoncina | Tutta per te | Vera come le mie lacrime | Ma non ti preoccupare | Non le sentirà nessuno | I cantautori non vendono più». La musica non si vende più e i cantautori, ancor meno (nonostante nell’ultimo decennio si sia ricreata una nuova ondata generazionale), eppure questa figura ancora oggi è capace di offrire uno sguardo originale e ricco di spunti di riflessione. Non a tutti andrebbe dato questo epiteto forse, ma sono molti quegli artisti che ancora oggi meritano di essere ascoltati da Colapesce a Vasco Brondi, Brunori o Iosonouncane passando per i meno noti Niccolò Carnesi, Dimartino o Alberto Mariotti (ora King of the Opera, fu Samuel Katarro), i più “argentati” Paolo Benvegnù e Umberto Maria Giardini, i romani e “pop” Fabi, Gazzè o Silvestri, e, ovviamente, Giuseppe Peveri.
Nel live della scorsa settimana al Politeama di Saluzzo, gremito in pressochè ogni ordine di posto, Dente ha proposto al pubblico un live fatto per lo più di leggerezza; come una foglia lasciata cadere in autunno, staccata da un ramo, si è sfiorato il contenuto del nuovo disco (5 pezzi, non di più) e poi una lunga carrellata dei suoi brani di maggiore successo: il momento migliore su Beato Me, pezzo di rock destrutturato e tanta poesia. La musica del cantautore ferrarese (milanese oramai d’adozione) è un misto di delicatezza e raffinatezza, gusto per rievocazioni sonore degli anni ‘70 (con tanto di “mighty” wurlitzer), immagini in pastello, leggermente sfuocate, dove domina il ricordo. Seguire un live o ascoltare un disco di Dente è meglio di una seduta di psicanalisi: ci si aspetta sempre più o meno la stessa cosa, con un malinconico retrogusto per ciò che si è vissuto e una velata curiosità impreziosita da una sana dose di ironia per ciò che deve accadere.
Giuseppe Peveri, in arte cantautore
I live di culture club 51 e new releases: il nuovo album di Dente presentato in concerto a Saluzzo