#8MARZO – Leda Artemisia Morena: «Ho sempre saputo di essere donna. Non serve tolleranza: serve rispetto»

Leda è una donna monregalese dall’8 marzo 2015, giorno in cui è stata pronunciata la sentenza che riconosceva il suo cambiamento di sesso.

Una monregalese doc. Tanto da essere lei ad aver confezionato, quest’anno, l’abito della Bela Monregaleisa. Ha una sartoria in una bella casa sull’Altipiano. Ci vive insieme alla mamma, Germana. Leda Artemisia Morena, 37 anni è una donna monregalese dall’8 marzo 2015, giorno in cui è stata pronunciata la sentenza che riconosceva il suo cambiamento di sesso. Prima, all’anagrafe, era Diego. Ma non era come si sentiva, dentro. «Ho sempre saputo di essere donna – racconta – ma me la sono raccontata diversamente dalla preadolescenza fino a 29 anni».
«Otto anni fa mi sono rivolta al centro interdipartimentale disturbi di identità di genere all’Ospedale San Giovanni vecchio di Torino – spiega –, è uno dei centri più antichi d’Italia a svolgere percorsi di transizione, che applica i protocolli dell’Onig, l’Osservatorio nazionale sulle identità di genere». Ognuno ha il proprio percorso ma la durata in media è di 5 o 6 anni. Ci lavora un’équipe di psicologi psicoterapeuti, psichiatri e endocrinologi. Cosa significa essere donna? «Un sentire diverso, che non so dire a parole. Sono vissuti relazionali, aspettative, un modo di vedere le cose, una questione, appunto, di anima. Sono agnostica ma un giorno un prete cattolico mi ha detto una cosa che mi fa ben sperare sul cambio di rotta delle gerarchie ecclesiastiche: “Gli uomini e le donne sono fatti a somiglianza di Dio. Tu sei quello che Dio ha voluto”».

Dice di sentirsi molto fortunata: «Ho avuto l’appoggio della famiglia e ho incontrato molte persone che hanno capito anche se in molti ancora non comprendono». «Il vero problema – osserva – è ricondurre tutto all’ambito della sessualità mentre una persona è molto più della propria sessualità». Un cane che si morde la coda perché chi cambia sesso spesso viene emarginato socialmente, perde anche il lavoro. «È questo – precisa – che talvolta spinge alla prostituzione. Una necessità, per campare». A lei è capitato di avere problemi in campo professionale. «Lavoravo per una cooperativa sociale – racconta – quando ho parlato della mia intenzione di cambiare sesso sono stata emarginata e alla fine mi sono licenziata. Eppure le mie competenze erano rimaste le stesse, ciò che avevo studiato sino ad allora e il lavoro che avevo fatto, non cambiava. Mi sono reinventata in una sartoria, la mia passione. A chi affronta questo percorso sento il dovere di dire di tenere duro, di fare affidamento sulla capacità di resilienza».

Il cambiamento di sesso non avviene da un giorno all’altro. «C’è un periodo in cui vivi in un limbo – aggiunge –. Il tuo aspetto fisico è già cambiato ma anagraficamente sei ancora, nel mio caso, un uomo e le foto sui documenti non rispecchiano quello che sei esteriormente. È una discrepanza che emerge nei curricula per la ricerca di un lavoro, nei controlli delle forze dell’ordine, se vuoi prenotare il treno o l’aereo. Un giorno alla Posta, per ritirare dei soldi, ho dovuto chiedere l’intervento dei carabinieri, non credevano che fossi davvero io». Leda è impegnata socialmente per “abbattere gli stereotipi” nella vita di tutti i giorni, ha mai nascosto la propria storia, fa interventi pubblici e sul web. «Mi fa arrabbiare la parola tolleranza, lo puoi dire di una mosca in casa, quello che serve è il rispetto». Dice: «La parità sta nel camminare al fianco e non superare».

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