Gli studenti del “Govone” e le storie dei profughi: «Qua in Italia siamo vivi: ci basta così»

Progetto di Anolf-CISL per le scuole.

Storie di povertà, storie di fuga, storie di guerra e a volte storie di violenza e morte. Sono le testimonianze dei profughi, quelli accolti a Ormea (dove l’accoglienza è gestita dal Comune e non da soggetti privati), davanti alle ragazze e ai ragazzi delle classi del Liceo “Govone”. Testimonianze dirette della povertà dell’Africa centrale e del caos della Libia post-Gheddafi. Tutto questo per dare risposta a una delle domande che troppo spesso si dimenticano: ma perché un profugo scappa? E la risposta è questa: «Per salvarci la vita. Qua in Italia siamo vivi, ci basta così».

L’incontro è avvenuto venerdì 7 aprile, davanti alle classi prime, seconde e quinte del Liceo economico e sociale. È stato organizzato da Anolf, “Associazione nazionale Oltre le frontiere”, organismo interno alla CISL che si occupa di progetti di integrazione, assieme alla IPAB di Ormea che affianca il Comune nella gestione del Centro di accoglienza che dà asilo ai profughi. Un esempio virtuoso in tutta la zona del Cuneese: perché qui i rifugiati sono stati accolti dal Comune e sono stati coinvolti in progetti di integrazione vera. In aula hanno parlato Luca Mellano e Roger Davico di Anolf e Paola Colombo, responsabile dell’accoglienza: «Aiutarli a trovare un lavoro è il primo passo verso la dignità e l’integrazione – spiegano –. E non stiamo parlando di “fare concorrenza” agli italiani: oggi ci sono moltissimi lavori che nessun italiano fa più e che loro invece accettano e svolgono bene». I ragazzi hanno ascoltato così le testimonianze di due dei ragazzi. Isidor, 39 anni, viene dal Camerun: dopo che si è alzato il livello degli scontri fra la minoranza anglofona, a cui appartiene, e la classe dominante, ha scelto di scappare. È stato in Algeria, Marocco e poi in Libia, dove ha trovato la violenza in cui tutto lo Stato è sprofondato ormai da anni. E da qui si è imbarcato per l’Italia.
Il racconto di Thomas, 45 anni, è molto più drammatico. Viene dalla Nigeria del nord falciato dal terrorismo di Boko Haram: «Mia moglie è stata ammazzata – racconta –. Sono dovuto scappare, lasciando là mia figlia che ha 15 anni. Non avevo altra scelta, se fossi rimasto là sarei morto. Ho affidato la mia vita a Dio, gli ho detto: “Se vuoi che sopravviva, fammi sopravvivere”». Anche lui è fuggito in Libia, trovando lo sbando più totale: «Ho visto i miei amici sparire. Ti prelevano con un camion e ti portano nel deserto: se hai i soldi per pagarti il riscatto ti lasciano, se non li hai ti sparano e ti ammazzano sul posto. Così sono scappato via mare e sono arrivato in Italia». Se chiedi cosa hanno trovato in Italia, la risposta è unica: «Pace. Non sappiamo se resteremo qua: a Ormea ci troviamo benissimo, ci piacerebbe fermarci. Non ci manca il nostro Paese di origine: là c’è la guerra, e non crediamo che le cose possano cambiare facilmente. Qui invece c’è la pace. Là avremmo potuto morire, qua siamo vivi».

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