Armi e lavoro, un filo rosso che mette i brividi

Papa Francesco: “L’hanno chiamata ‘madre di tutte le bombe’, ma la mamma dà la vita, questa dà la morte… E diciamo mamma a quell’apparecchio? Ma cosa sta succedendo?!”

La franchezza non fa difetto a Jorge Bergoglio, anche al cospetto dei cosiddetti grandi della terra. Insomma non le manda a dire, quando ci vuole ci vuole. Sabato scorso incontrando le Scuole di pace e rispondendo a braccio (attitudine che gli riesce sempre efficace), sulla enfasi che si è adoperata per dare la notizia del micidiale bombardamento da parte delle Forze Usa in Afghanistan qualche settimana fa, quando si è avuta la sfacciataggine di indicar il mega ordigno come “la madre di tutte le bombe” per potenza distruttiva seminando almeno 80 vittime tra i talebani, Papa Francesco ha confessato di aver provato vergogna. “L’hanno chiamata ‘madre di tutte le bombe’, ma la mamma dà la vita, questa dà la morte… E diciamo mamma a quell’apparecchio? Ma cosa sta succedendo?!”. Per Francesco sta avvenendo qualcosa di cupo e di inquietante. Lui ne parla come degli esiti di “una cultura di distruzione” e di un insopportabile “traffico di armi”. Il Papa non perde infatti l’occasione per stigmatizzare tutto un pericoloso business degli armamenti. La violenza si arma di ordigni, e gli ordigni armano la violenza. Un circolo vizioso che è esplosivo, contro la vita, contro il creato, con l’altro. Oggi pochi sanno esprimersi con questa chiarezza profetica. Senza retorica, si può solo dire che Papa Francesco ha una marcia in più, spiazzante su tutti i fronti. E il messaggio che lui lancia è alla portata di tutti. Fa centro inesorabilmente. Nessuno può scansarsi con la scusa di non aver inteso: le sue sono parole che non depistano, vanno invece al bersaglio grosso, sempre. Ed anche sul nodo cruciale del lavoro, ancora sabato alle Scuole di pace, Papa Francesco è tornato a dire cose salutarmente “rivoluzionarie”, in particolare sul profilo della dignità di chi lavora. “Si sfruttano le persone quando vengono pagate in nero, quando ti fanno un contratto di lavoro da settembre a maggio, poi due mesi senza, e si ricomincia a settembre: questo si chiama distruzione, questo si chiama sfruttamento; noi cattolici lo chiamiamo peccato mortale”.
E su lavoro ed armi, tasti che crucciano Papa Francesco, ecco un caso emblematico, in Sardegna, ove un’azienda appartenente ad una multinazionale tedesca – come documentava con un’intera pagina “Avvenire” domenica –, produce materiale bellico destinato anche ai sauditi in guerra nello Yemen sottoposto a bombe “a caduta libera” con effetti atroci pure tra i civili. “Gli operai di questa fabbrica sarda – ha detto don Renato Sacco di Pax Christi – non vanno criminalizzati, essi stessi e le loro famiglie sono vittime di questa economia di guerra” Così ci si sta mobilitando per scommettere sulla riconversione, cioè per cambiare produzione, dismettendo il settore ordigni senza perdere il lavoro. C’è una petizione (sottoscrivibile on-line) in cui si chiede al Capo dello Stato: “Senza una vera riconversione economica rischiamo solo di fare del facile moralismo, che scarica il peso della responsabilità politica sulle spalle dei lavoratori della fabbrica del Sulcis Iglesiente, in Sardegna, dove quelle bombe vengono allestite da una società di proprietà tedesca... Restare silenziosi od indifferenti vuol dire lasciare interi territori da soli davanti al ricatto tra il poco lavoro assicurato dalle armi e il concorso al macello industriale della guerra”. Domenica scorsa anche un marcia ad Iglesias, per cercare vie d’uscita al dilemma angosciante tra occupazione (in un’area con il 21% di disoccupati e con il 60% dei giovani senza lavoro) e il salario guadagnato nel costruire armi. Si misurano realismo e senso di responsabilità. Ma non si può restare prigionieri di questo snodo o ricatto. Qualcosa di importante deve cambiare. Modelli di altra economia possono essere inventati ed impiantati. Con i piedi per terra sì, ma anche con orizzonti coraggiosi di pace…

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