Le città invisibili

Continua il nostro viaggio nei romanzi di Calvino con il più seducente, forse, dei suoi esperimenti letterari. Un testo affascinante, che parla soprattutto, forse, a chiunque debba pensare e immaginare la Città.

Finalmente, finito il complesso ma indispensabile rito della democrazia, Mondovì ha un nuovo governo cittadino, da poco insediatosi ufficialmente nel primo nuovo consiglio. E ancora una volta il pensiero corre a Calvino, non quello che ci parla della Giornata di uno scrutatore (1963), ma quello che ci parla delle Città Invisibili (1972). Un testo postmoderno ma che, come spesso in Calvino, è al tempo stesso difficilissimo e leggero. Leggero, perché in definitiva le Città Invisibili possono essere viste come altrettante brevi novelle dedicate a diverse città; difficilissimo perché tra queste città vi è una trama intricata e complessa, stabilita con un affascinante gioco combinatorio e con una cornice che porta a un colpo di scena finale illuminante e rivelatorio. Se siete così fortunati da non conoscerlo ancora, non ve lo svelerò: aggiungo solo che queste città-novelle hanno anche una cornice narrativa, come il Decameron, nel racconto di viaggi di quel Marco Polo che, nel suo Milione, scrisse quasi una sorta di antiCommedia, un viaggio terreno opposto a quello infero e celeste di Dante Alighieri. Marco Polo racconta le sue città a Kublai Khan, signore dello sterminato impero cinese, che resta però affascinato dalla complessità della città occidentale: quella medioevale e quella moderna, che si sovrappongono nel fantastico delle narrazioni del viaggiatore. Cornice e temi si intersecano in una griglia complessa, 55 storie invece dei cento canti della Commedia o dei cento racconti del Decameron (in una struttura affascinante e rigorosissima, una volta compresa). Il gioco non è nuovo (per prima l’ha declinato Gabriella Mongardi: vedi qui), ma anche Mondovì potrebbe contenere in sé lo spunto per molte città invisibili, forse non 55 (ma impegnandosi, credo il gioco si potrebbe sviluppare). Ha una città alta, una città bassa, più tante città periferiche nei vari altri quartieri e frazioni; tra queste, ha una città nuova e una città vecchia (varie città vecchie: la Mondovì gotica, la Mondovì barocca, la Mondovì ottocentesca...). Ha una città dell’aria, con le sue mongolfiere (l'edizione Einaudi delle Città invisibili mette in copertina la città volante dipinta da Magritte), e indubbiamente ha una città sotterranea, fatta di cunicoli ma non solo, anche di segreti e misteri. Poi ci sono le varie città professionali, tra cui la città delle scuole che io conosco meglio (“l’Atene del Piemonte”, studiavo alle elementari, con giusto un filo di prosopopea), ma ogni ordine – ogni corporazione? – potrebbe descrivere la sua. C’è la città dell’informazione (con una ricca storia, che da poco l’Unione ha rispolverato), e c’è ormai la Mondovì della rete; Culture Club 51 si trova a metà di tutte e due ed è magari una delle strade di collegamento tra i due quartieri. E su tutte, certo, anche la città della politica, che non dev’essere una città isolata (o forse non è una città sola, ma divisa tra rive gauche e rive droite dell’Ellero, perlomeno?), ma che ha il compito non facile di tenere insieme tutte le altre, o almeno di dialogare con esse. Le città invisibili parla di tutte le città, ovviamente, ma a Mondovì in effetti quel libro di Calvino sembra ancora più vero. 

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