Orietta Berti: «Sono una cantante di famiglia»

L’“usignolo di Cavriago” si racconta, dagli esordi a “Mille” con cui ha sbancato le radio e le piattaforme streaming dell’ultima estate

Foto Di Marco Piraccini

Cinquantacinque anni di canzoni, perennemente sulla cresta dell’onda. Orietta Berti, a 78 anni compiuti, ha sbancato l’estate italiana 2021 al fianco di due tra gli artisti più popolari del Paese e lo ha fatto restando sempre, coerentemente, sé stessa. Orietta sarà la protagonista di quest’anno dell’”Intervista” di Marino Bartoletti, ormai appuntamento fisso della Sagra della castagna d’oro a Frabosa Sottana, in cui Orietta si racconterà, ripercorrendo la propria lunga carriera. L’agenda della Berti è più fitta di impegni che mai: da ottobre inizia “The Voice Senior” in Tv. E altri progetti sono in vista sul fronte del piccolo schermo. Discograficamente, è in uscita la raccolta che celebra i 55 anni di carriera, un cofanetto con 6 Cd. Ad autunno del 2020 è uscito per Rizzoli “Tra bandiere rosse e acquasantiere”, l’autobiografia dove la cantante ripercorre tutta la sua vicenda, musicale e umana. Abbiamo contattato la cantante per una chiacchierata sulla sua carriera e per capire come si fa a restare per cinque decadi in cima alle classifiche.

Orietta Berti, dopo 55 anni di carriera è ovunque con un tormentone estivo. Come ci è riuscita?

A Sanremo avevo fatto una serie di interviste con Francesca Michielin, l’ultimo giorno Fedez mi ha chiesto se per l’estate potevo cantare una canzone con lui. Gli ho risposto: «Se me la mandi sul cellulare ti so dire». Mi ha chiesto di cantare soltanto l’inciso, che le strofe le faceva lui. Dopo tre giorni mi ha mandato il pezzo, ho cantato sul demo e mi hanno chiesto di venire a Milano a inciderla. Andavo da Papi a fare “Name that tune” e quindi sono venuta qualche ora prima e così ho inciso la canzone. Dopo una settimana mi hanno chiesto di farla un tono sopra. A quel punto l’ha sentita Achille e ha detto che sarebbe entrato anche lui nel lavoro. Poi mi hanno chiamato per le foto e per fare il video in una villa in periferia a Roma, che sembrava una villa degli anni Sessanta. Ho fatto il mio settantottesimo compleanno con loro, in quel contesto. Abbiamo girato dal 31 maggio al 2 giugno e il 10 abbiamo concluso con un’intervista tutti insieme.

Ha mantenuto per tutto il suo percorso una solidissima coerenza musicale, fedele alla sua identità e alla sua vocalità: qual è il suo segreto?

Ho sempre lavorato con una casa editrice multinazionale, diretta da stranieri. Dopo pochi anni i dirigenti cambiavano: ho cominciato con i tedeschi, poi coi francesi, poi olandesi, inglesi, brasiliani e di nuovo tedeschi. Non conoscendo i gusti degli italiani, facevano sondaggi con dei provini cantati, il lunedì e il venerdì. Si sceglieva così la canzone che piaceva di più ed io incidevo sempre la canzone che vinceva il sondaggio. Tutti i gruppi dell’avanguardia, tutte le cantanti che avevano successo incidevano le nostre canzoni, che uscivano da “Disco per l’estate”, “Canzonissima”, “Sanremo”. La nostra canzone è andata in tutto il mondo fino a metà anni ’80, poi è arrivato il rap che ha preso molto tra i giovani. Tanti autori di canzoni non disponendo di una bella voce si son messi a fare questo genere, ma io non ho mai lasciato la canzone italiana. Sono le nostre radici.

E non è mai passata di moda in tutti questi anni…

Quando sono usciti i cantautori, tanti cantanti sono stati un po’ accantonati. La mia casa discografica decise allora di farmi incidere le canzoni folk: le nostre radici. Ho inciso tre long playing di canzoni popolari, abbiamo venduto tantissimo. Poi c’è stato il boom delle canzoni dei bambini. Siccome c’era un cartone, i Barbapapà, accompagnato da una canzoncina in olandese, hanno chiesto a me e Claudio Lippi di fare la versione italiana. Anche quella è andata molto bene. Si cantavano tante canzoni per i bambini, “La balena”, “Finchè la barca va”… tante cose ho fatto adeguandomi al tempo e al mercato.

Lei è una musicista solida e preparata: cosa rappresenta per lei la sua formazione musicale lirica?

Mio padre era appassionato di canto lirico, voleva che diventassi un mezzo soprano. La voce è un muscolo, se uno si allena si prendono più note e meglio, si irrobustisce, diventa più sicura. Però nel mondo lirico non avevo la possibilità di entrare, avevo un maestro che insegnava canto lirico al Conservatorio, Speroncini, ma c’era da studiare tanto e spendere molti soldi. Così ho fatto dei concorsi di musica leggera: in uno c’era Giorgio Calabresi in giuria, autore di trasmissioni televisive e di tante canzoni di successo. Scriveva molto per Mina ed era autore di Umberto Bindi. Lui mi ha fatto andare a Milano a fare dei provini. C’erano anche Memo Remigi, Fabrizio De Andrè. Abbiamo fatto dei provini, ma non sono stati pubblicati perché il produttore, un genovese, si è tirato indietro. Abbiamo fatto diverse prove in diverse case discografiche. A me è andata bene, mi hanno preso in una casa multinazionale che apprezzava il bel canto all’italiana. Abbiamo sempre avuto gli appoggi di Calabresi, che ci diceva: «Dài retta ai dirigenti dell’azienda, che devono vendere il prodotto. Tu lavori con il cuore, loro con la testa».

Nel suo libro riporta molti episodi così: in un passaggio chiede ai parolieri di eliminare qualche “mai” dalla canzone e la risposta è: «Ogni “mai” in meno sono 100.000 dischi venduti in meno».

In quel periodo Pace, Pilat e Panzeri erano i parolieri che scrivevano per tutti, avevano fatto tanti successi. Contestarli era un po’ pericoloso… (ride) “Non illuderti mai” era la canzone più incisa in Europa dai gruppi. Anche gli Abba l’hanno incisa. “Alla fine della strada”, portata da me in una semifinale di “Canzonissima”, era stata venduta dall’editore al manager di Tom Jones, ed è diventata “Love me tonight” e ha venduto 14 milioni di dischi. L’arrangiamento è lo stesso che era stato scritto per la mia interpretazione. Quante storie si nascondono dietro ogni canzone! All’epoca non era facile, ogni canzone era un punto interrogativo. Le manifestazioni erano talmente importanti che una cilecca a “Sanremo” costava un anno o due di inattività. Se si andava male a una “Canzone per l’estate” poi la casa discografica per un po’ non proponeva nuovi pezzi. Erano anni difficili.

La sua avventura cinematografica com’è cominciata?

Ero all’aeroporto e ho incontrato Ettore Scola che mi ha proposto di partecipare a “I Nuovi Mostri”, dovevo fare la moglie di Ugo Tognazzi, una cantante. Io stavo partendo per New York dove dovevo tenere 15 giorni di concerti. Ho letto il copione e ho accettato: lui proponeva di girare tre mesi dopo ma io avevo il tour, così li ho invitati a casa mia e abbiamo girato il film, nel periodo in cui cantavo in Italia. Poi ho fatto dei musicarelli, con le canzoni di Suor Sorriso con cui ho cominciato.

Canzoni che, detto per inciso, era titubante ad interpretare.

Non lo volevo fare, è vero, poi mi hanno convinto… Altrimenti non mi avrebbero mandato al “Disco per l’estate”.

Anche “Finchè la barca fa” non la voleva incidere…

È vero io a volte sono un po’ testarda… Mi dicevano: «Si è piazzata benissimo nei sondaggi perché non la vuoi fare? Il successo del pubblico è assicurato». Poi mia mamma mi ha convinto: «Ha un bel testo ironico, perché non la vuoi fare?». «Mah, io vorrei cantare canzoni d’amore». «Hai tempo per cantare canzoni d’amore». così l’ho incisa.

Adesso gliela chiedono tutti

Si questa e altre canzoni se non le faccio ai concerti la gente resta molto delusa… Ma anche la canzone di Sanremo quest’anno…. Con “Mille” siamo sommersi di video di gente di tutte le età, in tutti i contesti, che la cantano. Ce la mandano in tutte le lingue, tutti i giorni. Una cosa incredibile. Una canzone indovinata che attraversa le generazioni. La cantano tutti.

Lei ha una popolarità trasversale non solo tra il pubblico, ma anche tra i musicisti, di tutti i generi. Che effetto le fa?

Ai miei concerti c’è sempre stato un pubblico molto vario. Bambini che ascoltavano le mie canzoni da piccoli e tornavano ai concerti da adulti, vedendomi come una specie di zia o una tata. Vengono ancora adesso, ricordando la nonna che non c’è più, ascoltando le sue canzoni. Altri mi dicono «Pensi signora Berti che a Milano la mamma metteva su il disco con le sue canzoni e poi arrivavamo a Rimini pieni di voglia di divertirci, allegri». Ecco, io sono sempre stata una cantante di famiglia.

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