Una mostra piccola, ma decisamente interessante quella ospitata presso il Castello degli Acaia a Fossano, con due dei nomi più importanti e più citati dell’arte contemporanea italiana. Lucio Fontana è infatti l’autore dei celebri tagli, con cui la tela, invece di coprirsi di colore per rappresentare qualcosa di concreto o di astratto che sia, viene squarciata in due in quella che diventa una fin troppo evidente metafora del superamento dell’arte tradizionale con la seconda metà del Novecento. L’idea di “concetto spaziale” e “spazialismo” nasce nel 1946, all’immediato indomani della seconda guerra mondiale, e solo in seguito viene sviluppata nel famoso e famigerato taglio verso il 1958 (in parallelo con l’avvio di quel boom economico che traghetta l’Italia nella piena modernità). In questa mostra fossanese non sono presenti i tagli classici, ma molteplici perforazioni che costituiscono uno sviluppo parallelo della ricerca, applicata non solo su vari tipi di tele, ma anche su metallo.
Piero Manzoni, invece, è l’autore dell’altra grande opera dell’arte italiana contemporanea nell’immaginario collettivo: la merda d’artista. Ideata nel 1961 (l’Italia celebrava in quell’anno l’apice del boom con il centenario dell’unificazione), di nuovo si tratta di una metafora evidente e ancor più provocatoria del potere dell’artista che rende arte tutto ciò che tocca. Come un moderno re Mida, Manzoni vendette quelle scatolette a peso d’oro, e aveva ovviamente ragione sotto un profilo economico: chi le ha comprate ha fatto un ottimo affare nel mercato delle quotazioni d’arte. Meno provocatorio, ma ugualmente interessante, il lavoro sul “fiato d’artista”, che riprende un concetto simile in modo più aulico ma ugualmente ironico. A Fossano sono presenti anche numerose versioni dei suoi Acromi, quadri composti solo di materiali differenti incorniciati come tele, in cui è di nuovo il semplice gesto dell’artista che li dichiara opera d’arte a sancirne il valore. Quadri bianci di vari tipi di tela e di cotone, non dissimili a quella tela bianca che Fontana andava a squarciare.
Un colpo d’occhio affascinante, completato anche da una buona rassegna di cataloghi dei due autori che permettono allo spettatore più curioso di farsi una prima idea sulla contestualizzazione di questi lavori, approfittando di un’occasione unica che gli consente, senza spesa, di poter affermare di aver visto in prima persona questi due autori stracitati ma pochissimo conosciuti in presa diretta. Certo, per le masse questi due nomi, se conosciuti, resteranno l’equivalente di una celebre frase divenuta un meme di internet: “il mio falegname con trentamila lire lo faceva meglio” (da “Tre uomini e una gamba” di Aldo, Giovanni e Giacomo: la gamba che sostituisce il cane di Jerome K. Jerome è proprio l'opera d'arte concettuale del film), sollevando le obiezioni degli happy few che rivendicheranno il contesto e, se non altro, la primazia dei due autori nell’inventare questi prodotti artistici. Non è questa la sede per addentrarci in una querelle antica quanto l’arte astratta (perlomeno): ma può essere interessante notare come le opere concettuali di Fontana e Manzoni siano estremamente affini all’umorismo contemporaneo del web, quello dei memes che affollano e infestano le nostre bacheche facebook, partendo dai più oscuri forum di internet, dal modello 4chan a luoghi di divulgazione come 9gag. Capire i primi due è un modo di comprendere, forse, i loro infiniti emuli. Magari prima che un artista decida che la sua nuova performance è quella anticipata in una celeberrima puntata di Black Mirror, e che è finita l’era in cui l’arte rimaneva comodamente rinchiusa in un museo.