Venerdì 19 gennaio è uscito Quattro, un nomen omen (una traduzione, un po' libera in questo caso, potrebbe essere "di nome e di fatto") che racconta gli ultimi anni di vita artistica di Bianco. Il cantautore torinese ha passato molto di questo tempo in giro l'italia, prima ad accompagnare e ad aprirne i live, poi a condividere il palco con il romano Niccolò Fabi. Da questa sinergia artistica Bianco non ha solo attinto, ma ha dato molto; e come spesso accade donando il proprio estro artistico si scoprono o ri-scoprono alcuni elementi cardine del proprio essere. Come essere un cantautore.
Così Alberto ha ripreso in mano la chitarra, ed anziché mettersi ad arrangiare, ed ha suonare ha cominciato a comporre.
Non tutti (quasi nessuno) i brani del nuovo Quattro sono stati composti solo con la chitarra, ma piace immaginare che invece nella loro costruzione siano nati così. Un altro album in cui il cantautorato si sposa con la canzone "pop", accessibile, per melodia, interpretazione e arrangiamento. Un viaggio musicale in cui Alberto (più ancora di Bianco) guarda a sè stesso e si interroga sul posto che occupa, non solo in 30-40-50, ma anche nella successiva Felice; mantiene un rapporto diretto con quegli "schemi" del passato che hanno sempre funzionato, un mondo raccolto all'interno di un piccolo romanzo famigliare fatto di consuetudini, di provincia e Torino, città che viene raccontata nei locali vissuti da sempre e nei suoi simboli (Fiat, Ultimo Chilometro), una vita fatta di affetti (La Persona Innamorata), di crisi e di giovinezza consapevole.
Anche dal punto di vista sonoro il disco ha guadagnato in sfumature: pur restando molto fedele a sè stesso, si mantiene un cordone ancorato al rock anni '90 (Padre) e le ballate fatte di voce, qualche arpeggio e tanta chitarra (Filastrocca sui Tetti di Ortigia), ma c'è anche un bel funk (Tutti gli Uomini) degno del primo funk-jazz e qualche nuova sfumatura.
Quattro è un album completo, finito; di un cantautore della concretezza, tanta montagna e un fiume lungo come il Po.