Karima: un tributo alle grandi voci del jazz

La cantante livornese, da poco trasferitasi in Piemonte, ha aperto la stagione musicale della città di Mondovì, con il tributo alle grandi cantanti del jazz. Sul palco con lei il pianista Fabio Giachino, il bassista Davide Liberti e il batterista Ruben Bellavia. Abbiamo raggiunto Karima per una chiacchierata sulla musica e sulla sua carriera.

 

Tra i banchi della scuola di “Amici”, il programma di Maria De Filippi, sono passati tanti giovani di belle speranze: su molti di loro è calato l’oblio. Karima Ammar è una di quelli che sono riusciti a costruirsi una carriera solida e una reputazione di eccellenza nel mondo dello spettacolo. Le sue doti interpretative non comuni sono state notate e apprezzate da pubblico, critica e addetti ai lavori, e le hanno portato, negli anni, tante belle opportunità che hanno notevolmente arricchito il suo bagaglio personale, rendendola una cantante estremamente versatile. Tra le altre cose nel 2009 ha instaurato una collaborazione con il compositore americano Burt Bacharach, ha partecipato come voce al doppiaggio di due lungometraggi (Fame, Saranno Famosi e La Principessa e il Ranocchio della Walt Disney) e nel 2017 è stata la protagonista, insieme a Ettore Bassi, del musical “The Bodyguard” tratto dal film cult con Whitney Houston. Le sue incursioni nel piccolo schermo sono state tante, le più recenti al Tale e Quale Show di Carlo Conti su Rai 1, dove ha dato prova della sua grande duttilità. Figlia di un’italiana e di un algerino, ha vissuto a lungo a Livorno: da un anno si è trasferita a Moncalieri e in Piemonte, tramite Fabrizio Bosso, ha incontrato il pianista albese Fabio Giachino, il batterista Ruben Bellavia e il bassista Davide Liberti, con cui ha cominciato a collaborare. Il quartetto ha portato a Mondovì lo spettacolo “Voices”, nato per il Moncalieri Jazz Festival, tributo alle più grandi voci del jazz, su tutte la grande Ella Fitzgerald.

Va subito detto che non c’è stata alcuna concessione al pop, nella serata monregalese, a dispetto delle passate incursioni della cantante nella musica mainstream.  Non è un dato scontato, non tutti gli artisti, specie se giovani, quando scelgono di intraprendere una nuova strada artistica hanno il coraggio di abbandonare completamente il vecchio repertorio e le modalità del vecchio spettacolo. Anzi più spesso, nel jazz, accade il contrario. Bravissimi artisti emergono nel mondo del jazz puro e poi, anche per sopravvivere e inseguire una crescita necessaria, strizzano l’occhio al mondo del pop. Un caso da manuale potrebbe essere quello di Chiara Civello, il cui astro era asceso con la pubblicazione di quel capolavoro che era Half Quarter Moon e che sta tornando solo in questi ultimi anni a forme più puramente jazz, dopo una lunga incursione nel pop. Il concerto tenuto al Baretti è stato animato da uno spirito puramente jazz. Nessuna traccia di “Come ogni ora”: solo grandi classici, come Lullaby of Birdland e Misty. Unica eccezione, l’omaggio a Whitney Houston, con una meravigliosa versione pianoforte e voce di “Would would imagine a king” dedicata alla figlia della cantante, presente in sala (e infatti tra un brano e l’altro ogni tanto si faceva sentire, chiamandola).

Gli standards sono stati il punto di partenza perfetto per le divagazioni pianistiche di Giachino, per i soliloqui del basso di Liberti e per le invenzioni ritmiche di Bellavia. E per la voce di Karima, che scaldatasi dopo i primi brani, ha presto dimostrato tutte le sue potenzialità. Il punto forte di Karima sta nell’attenzione e nella cura per l’interpretazione, più che nel virtuosismo muscolare. Sa modellare con molta attenzione le sfumature nei brani più morbidi, sa tirare fuori la giusta grinta nei pezzi più ritmati. A dispetto di tante meteore uscite dai talent, Karima possiede una solida preparazione nel suo genere, la giusta visione artistica, la giusta tecnica per far rendere al meglio la poderosa voce che ha ricevuto da madre natura. Insomma, possiede un solido mestiere, che le garantirà, a dispetto della popolarità che va e viene, un posticino nei cartelloni dei teatri e dei clubs ancora per molti anni.

 

   

L'intervista con Karima Ammar: "Lo spettacolo che vedete è solo la punta dell'Iceberg"

   «Sarò al teatro Baretti con un progetto che ho intitolato “Voices”, nato per omaggiare Ella Fitzgerald nel centenario dalla sua nascita. Questo spettacolo ha debuttato per la prima volta a novembre del 2016, al Moncalieri Jazz Festival, ed ha avuto tanto successo che è diventato un omaggio alle grandi voci internazionali del jazz. Con me ci sono tre validissimi strumentisti piemontesi, che ho conosciuto tramite Fabrizio Bosso, e con cui ho instaurato un’importante e proficua collaborazione. Sono il pianista Fabio Giachino, di Alba, il bassista Davide Liberti e il batterista Ruben Bellavia. Dopo 32 anni di Toscana ho lasciato il mare per trasferirmi in Piemonte ed è stato un piacere incontrarli e fare musica con loro. Insieme abbiamo fatto anche il progetto “Christmas Time is here” con cui abbiamo fatto tre sold out al Blue Note di Milano».

Quali sono i tuoi modelli di riferimento, le voci più importanti per te?

Sicuramente Ella Fitzgerald, prima tra tutte, poi Nina Simone, Dianne Reeves, Whitney Houston… Queste sono sicuramente alcune tra le mie principali voci di riferimento. “Voices” è un omaggio a loro, con il valore aggiunto che molti dei brani che hanno interpretato e inciso sono diventati degli standards jazz e sono stati reinterpretati da tanti altri grandi. In questo modo lo spettacolo diventa un tributo alle tantissime grandi voci del jazz, anche a quelle i cui brani, magari, non compaiono in scaletta per motivi di spazio.

Tra i tuoi modelli principali hai citato Whitney Houston: proprio l’anno scorso sei stata la protagonista, insieme a Ettore Bassi, del musical “The Bodyguard” che tipo di esperienza è stata?

È stata una sfida incredibile: in un musical non si deve soltanto cantare, è un mondo a sé. Occorre recitare, ballare, cantare… Per interpretare la parte del personaggio principale ho dovuto recitare in ben dieci scene differenti, fare tutto un lavoro sul personaggio e sulla dizione. Dovevo cantare 13 brani e ballarne 4… è stata un’esperienza davvero impegnativa, un lavoro enorme che però mi ha portato a una crescita professionale importante.

Sei una cantante che ha dimostrato di sapersi confrontare con brani di generi anche molto diversi tra di loro. Normalmente come ti prepari quando affronti un nuovo pezzo? Lo affronti in modo istintivo o ti prepari studiandolo a fondo?

Una parte di studio è sempre necessaria: il concerto che lo spettatore vede è la punta dell’iceberg. C’è tutto un lavoro che si fa a casa, si studia, si sperimenta, si cerca di impadronirsi a fondo di tutta la tecnica necessaria, che è importante perché ti consente di conoscerti meglio, ti rende libera in quello che vuoi fare. Poi si va sul palco e si cerca di abbandonarsi all’istinto musicale, allo scambio con il pubblico e con i musicisti. La tecnica acquisita passa in secondo piano e lì nasce il feeling della performance.

A distanza di tanti anni cosa pensi che ti abbia lasciato l’avventura del Talent Show televisivo?

Amici di Maria De Filippi è stata un’esperienza molto difficile: si ha del materiale da imparare tutte le settimane e non si può sbagliare nulla. Si è perennemente in discussione, un giorno si è dentro la scuola e il giorno dopo si può essere fuori. È stata un’esperienza emotivamente molto forte, anche perché eravamo tutti molto giovani noi concorrenti. Ha sicuramente forgiato il mio carattere: sono sempre stata molto determinata ma prima ero più emotiva, più vulnerabile: piangevo spesso. Io ho sempre pensato, allora come oggi, che avrei voluto “arrivare” ma solo con le mie forze, senza schiacciare o danneggiare gli altri. Sono contenta, finora, di non aver mai tradito il mio proposito.

Nel 2008 hai inaugurato una collaborazione con il maestro Burt Bacharach: che tipo di esperienza è stata?

Non è stata un’esperienza: è stato un sogno, un sogno che si è realizzato. Conoscevo da molti anni il suo repertorio, avevo ricevuto in regalo un Lp “Dionne Warwick Sings Burt Bacharach” e me n’ero innamorata. Quando il mio produttore nel 2008 mi ha organizzato un incontro con lui non ci potevo credere. È stato un incontro molto semplice, abbiamo fatto colazione insieme. Sono rimasta folgorata.

Hai avuto una carriera molto poliedrica: hai fatto televisione, teatro, hai lavorato nel doppiaggio… C’è qualcosa che ti piacerebbe fare e che non hai ancora avuto occasione di fare?

Mi piacerebbe fare del cinema: mi ha sempre ispirato! L’opportunità di fare la doppiatrice mi ha appassionato ancora di più a quel mondo. Vedremo in futuro se sarà possibile realizzare anche questo obiettivo!

Karima Ammar - Voce

 

Fabio Giachino - Pianoforte

Davide Liberti - Contrabbasso

Ruben Bellavia - Batteria

 

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