Enrico IV

L'onorevole monregalese Enrico Costa è giunto al suo quarto mandato da parlamentare eletto nelle fila del centrodestra- Un'occasione per consigliarvi (e consigliargli) di leggersi o rileggersi l'Enrico IV, il capolavoro teatrale di Pirandello. Che non c'entra direttamente: o forse sì?

Come tutti i monregalesi ormai sapranno, l’onorevole Enrico Costa, classe 1969, è giunto al suo quarto mandato da parlamentare eletto nelle fila del centrodestra: nel 2006 fu all’opposizione di Prodi, nel 2008 nella maggioranza di Berlusconi, quindi una terza legislatura iniziata nel 2013, durante la quale giunge il salto a ministro con il governo Renzi (Affari regionali e Famiglia) e, per ora, questo quarto mandato 2018: l'eletto più votato in Piemonte, con un lusinghiero 48%.

Curiosamente, “Enrico IV” è uno dei più interessanti e misconosciuti drammi di Luigi Pirandello. Composto nel 1921, è considerato il capolavoro dell’autore al pari del più noto “Sei personaggi in cerca d’autore”, più apertamente metateatrale.

Il protagonista è un nobile novecentesco che, partecipando a una rievocazione in costume dove impersona l’imperatore Enrico IV, viene disarcionato dal rivale in amore Belcredi, che mira a metterlo fuori dai giochi per conquistare la bella Matilda. Il protagonista sopravvive, ma quando rinviene si crede realmente Enrico IV, e attorno a lui viene orchestrata una finzione che gli conferma tale percezione: si sa, mai contraddire i matti. Gradualmente “Enrico” recupera la ragione, ma comprende anche il tentato omicidio di Belcredi, ormai sposato e con una figlia con Matilda. A che scopo, quindi, uscire dalla propria “maschera”? Uno psichiatra, tuttavia, si appassiona al suo caso e decide di curarlo, ricostruendo la scena di vent’anni prima, cosa che a suo avviso riporterebbe “Enrico” alla ragione. Ma il protagonista sfrutta l’occasione per avere finalmente la sua vendetta e, coperto dalla maschera della follia, trafigge di spada Belcredi.

(Luigi Pirandello con gli attori della prima messa in scena della sua opera)

La scelta di Enrico IV non è casuale: si tratta dell’imperatore che perde il suo potere per la scomunica del papa Gregorio VII, all’interno della feroce Lotta per le investiture, e nel 1077 è costretto ad umiliarsi davanti al potere del Pontefice in un incontro riconciliatorio presso Matilde di Canossa (nome che non a caso ritorna nella donna amata del dramma), per poi riprendere in seguito la lotta contro l’arcinemico.

Anche l'“Enrico IV” di Pirandello (non ne sapremo mai, volutamente, il vero nome) ha perso il suo potere e viene umiliato dalla farsa cui deve soggiacere, benché anch’egli, alla fine, riesca a vendicarsi del suo nemico. Il titolo ricorda – ingannevolmente – i drammi storici shakespeariani dedicati ai sovrani inglesi del passato, ma la struttura ricorda maggiormente quella del coevo autore spagnolo Calderon de La Barca: nel suo “La vita è sogno” (1635) il protagonista viene imprigionato in una simile realtà illusoria da cui però riesce, alla fine, a fuggire. Contorto e barocco, il dramma di Pirandello anticipa per certi versi temi molto moderni come quelli della realtà virtuale indistinguibile dal vero, di cui ci parlano Matrix e Black Mirror.

(Per la satira d'età fascista, i drammi di P.Randello sono peggio delle loro manganellate condite d'olio di ricino. E condannate a un eterno fiasco)

Insomma, una delle grandi opere della letteratura italiana, che consigliamo senz’altro ai nostri lettori, incluso – se ci segue – il nostro Enrico IV, che avremo, speriamo, perlomeno incuriosito. Ma c’è qualche parallelo che si può trarre tra la situazione del personaggio pirandelliano e il più importante attuale politico monregalese? Difficile a dirsi, e magari anche pericoloso, avanzare confronti con la “teoria delle maschere”, dove Pirandello spiega che, anche in casi meno estremi di quelli che lui per paradosso mette in scena, nella vita siamo sempre tutti costretti a giocare una recita diversa per ogni interlocutore. Cosa c’è realmente dietro al politico magistrale (o al professorino che si vuole brillante, se è per questo)? Nemmeno noi possiamo saperlo, se ci spogliamo delle nostre centomila maschere, una per ogni persona che ci conosce: per l’uomo comune è un’iperbole, magari per Enrico Costa no, se lo conoscono almeno tutti i cuneesi.

Però, ripeto, non mi azzardo su questo terreno. Ma un politico monregalese abilissimo nel gioco delle parti Pirandello doveva averlo presente, mentre scriveva l’Enrico IV: Giovanni Giolitti, che diede nome a un’era, e che stando al vignettista Eugenio Colmo detto Golia (anch’egli delle nostre terre) era un Giano bifronte (anzi, un Giuanin Bifronte) in grado di mostrarsi socialista agli operai, capitalista ai padroni, e magari laico agli anticlericali, filocattolico al conte Gentiloni (altro personaggio che ritorna: avo del Gentiloni premier appena decaduto) e così via. Criticabile per i cultori della purezza politica? Certamente. Ma questa flessibilità è in fondo il gioco della democrazia. L’unica alternativa è quella che veniva mostrata agli italiani nel 1922, l’anno seguente all’Enrico IV, quando i fascisti, con la famigerata Marcia su Roma, presero il potere: i Centomila schieramenti della democrazia liberale erano resi Nessuno nell’Uno Nero della dittatura. Pirandello appoggiò quel regime, che contraddiceva del tutto il suo assoluto relativismo in una mistica della forza e della violenza risolutiva. Eppure avrebbe dovuto saperlo: il tentativo di annullare la molteplicità delle maschere conduce solo alla follia, anche nel teatro della politica. Quindi auguri a Costa, a Dadone, a Taricco e agli altri rappresentanti democraticamente eletti che sono chiamati, in questo difficile frangente, a trovare un modo di governare il paese. Il sistema democratico, sempre migliorabile, è comunque imperfetto per definizione: ma come ci ricorda Churchill, tutti gli altri sono molto, molto peggio.

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