Mattarella: il presidente lancia da Dogliani il “monito indiretto” a Di Maio e Salvini (FOTO E VIDEO)

Il discorso del presidente a Dogliani

Un passaggio, quasi a metà del discorso. Per dire che «Einaudi si servì in pieno delle prerogative attribuite al suo ufficio ogni volta che lo ritenne necessario. Illuminante fu il caso del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo le elezioni del 1953. Nomina per la quale non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Democrazia Cristiana».

Parole non casuali, quelle scelte dal presidente Sergio Mattarella a Dogliani. Non casuali. Il discorso per commemorare Einaudi, nel 70esimo dal suo insediamento, cade proprio nel giorno in cui i leader di 5 Stelle e Lega, Di Maio e Salvini, stavano discutendo sul futuro Governo e sul premier. Quelle parole sono un monito indiretto, reso ancor più solido considerando che si rifanno a uno dei padri della Repubblica italiana. Attenzione, sembra mandargli a dire oggi Mattarella: non funziona per forza come volete voi.

Sono passati settant'anni, dal giorno in cui Luigi Einaudi ascese al Quirinale come successore di Enrico De Nicola. Sabato 12 maggio, in una fase delicata per la storia della nostra nazione, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha visitato a Dogliani per commemorare il grande statista, che riposa nel cimitero del paese. Il Presidente ha visitato la tomba di Einaudi, ha fatto tappa presso il palazzo comunale e ha concluso la visita a Villa Einaudi. 

https://www.youtube.com/watch?v=YsvHfRLzSws

Il saluto del sindaco:

"Dogliani ha dato i natali a uno dei più grandi presidenti, ed è stata protagonista della lotta partigiana contro il nazi-fascismo nella guerra di liberazione. La visita, della quale ella ci onora, testimonia la sua attenzione per il nostro paese, ricco di risorse naturali, arte, grandi personaggi, e la sua consapevolezza dell'importanza che la storia di dogliani e un grande doglianese hanno avuto per la storia d'Italia. Nato con la costituzione e tenuto per mano nei primi anni da uomini illuminati come Luigi Einaudi, il nostro paese sta attraversando un difficile momento. Confidiamo, signor Presidente, che la sua serenità di spirito, la sua mitezza, la forza d'animo con cui ha affrontato dure esperienze nella vita, siano punto di riferimento e motivo di riflessione per tutti, soprattutto per coloro che sono impegnati in pubblici incarichi in istituzioni sociali"

https://www.youtube.com/watch?v=vvKDaWlVD2A

Le parole del presidente: «Il mandato di Einaudi fu tutt'altro che notarile»

«Nella sua opera di costruzione dell'equilibrio tra i diversi organi costituzionali, lo statista di Carrù sapeva che i suoi atti avrebbero fissato i confini all'esercizio del mandato presidenziale, per sé e per i suoi successori. Con la discrezione e la fermezza che lo caratterizzavano diede vita a un dialogo di permanente leale collaborazione istituzionale. (...) Una presidenza tutt'altro che "notarile", come dimostrò anche la vicenda del diritto di nomina dei cinque giudici di spettanza del Presidente, secondo il disposto dell'art. 135 della Costituzione. La questione portò, nel 1951 - in occasione della legge che integra quell'articolo, poi approvata nel 1953 - a un aperto contrasto con il governo e si concluse, secondo i suoi desideri e le sue decisioni, con la piena conferma dei poteri del Presidente stabiliti dalle norme costituzionali. Cercando sempre leale sintonia con il governo e il Parlamento, Luigi Einaudi si servì in pieno delle prerogative attribuite al suo ufficio ogni volta che lo ritenne necessario. Fu il caso illuminante del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo le elezioni del 1953. Nomina per la quale non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Democrazia Cristiana».

Altro passaggio non banale: «Cito dal suo testo "Scuola e libertà", del 1956: "Il totalitarismo vive con il monopolio; la libertà vive solo perché vuole la discussione tra la verità e l'errore...Nella vita politica la libertà non è garantita dai sistemi elettorali, dal voto universale o ristretto, dalla proporzionale o dal prevalere della maggioranza nel collegio uninominale. Essa esiste finchè esiste la possibilità della discussione, della critica". (...) Disse: "Troppo spesso i politici sono persuasi non solo di dover ricercare la verità, ed è persuasione giusta e feconda, ma di conoscere già 'quella' verità, 'una' verità, e di non poterne tollerare la negazione. E questo è pericolo mortale... La verità vive solo perché essa può essere negata. Essendo liberi di negarla a ogni istante, noi affermiamo, ogni volta, l'impero della verità"».

E infine: «I coniugi Einaudi aprirono il Quirinale ai più poveri. Ai "mutilatini", agli orfani di guerra, a vecchi e bambini delle borgate romane, organizzando pranzi in loro onore, soprattutto in occasione del Natale e della Befana. Parlò agli italiani dalla radio, inaugurando anche la prassi dei messaggi di fine anno, con auguri brevi, asciutti, essenziali, diretti a "ogni italiano, entro e fuori i confini della Patria". Era allora un periodo di forti migrazioni dal nostro Paese. Esponente della cultura antifascista, firmatario del Manifesto promosso da Benedetto Croce, Luigi Einaudi, senatore del Regno, non mancò alle sedute in cui manifestare dissenso a provvedimenti liberticidi, come nel 1928, quando venne approvata la riforma elettorale che introduceva la lista unica dei candidati approvata dal Gran Consiglio del fascismo o su provvedimenti contro l'umanità, come le leggi razziali del dicembre 1938. Ricercato dai nazisti nel settembre 1943, fu rifugiato in Svizzera per contribuire poi, da Governatore della Banca d'Italia, alla ricostruzione del Paese. Uomini eccezionali per stagioni eccezionali. Luigi Einaudi fu uno di questi uomini. Un patriota, consapevole di contribuire, con la sua testimonianza, lui, di orientamento monarchico, al consolidamento della Repubblica democratica. La Repubblica oggi gli rende omaggio, come a uno dei Padri costituenti che hanno fatto dell'Italia un grande Paese».

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