Una rivoluzione ancora troppo acerba: Solo

L’attesissimo nuovo capitolo dello Star Wars Anthology ci porta ai tempi della nascita dell’Impero. Protagonista uno degli emblemi della saga, Han Solo: da banale ladruncolo agli albori della rivoluzione. Ma se il personaggio è entrato nell'Olimpo del cinema, la pellicola stenta.

TRAMA

Per riscattare la libertà dalla signora del crimine Lady Proxima, Han e l’amata Qi’ra compiono continui furti. Il loro pianeta Corellia è sotto il controllo dei Sindacati del Crimine, organizzazioni che sfruttano e opprimo la popolazione. Nel tentativo di abbandonare Corellia Qi’ra viene catturata sotto gli occhi di Han che gli promette di  tornare a recuperarla. Per farlo l’unica via è l’arruolamento all’accademia piloti del nascente Impero Galattico. Tre anni dopo Han è sul fronte del pianeta Mimban come fante, come  punizione per una sua insubordinazione. In battaglia incontra il soldato mercenario  Beckett con la sua squadra, nonché il wookie Chewbecca. Il gruppo abbandona il campo per rubare un carico di coassio per conto dell’Alba Cremisi. La missione fallisce e ne devono rispondere al boss Vos, che gli concede una seconda opportunità di recuperarlo, questa volta accompagnati dal suo luogotenente, che è nientemeno che Qi’ra.

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La ricostruzione storica del passato di un personaggio iconico come Han Solo deve tenere conto di numerosi aspetti, innanzi tutto cercare di evitare incongruenze con le vicende degli altri capitoli della saga, rendendola ugualmente il più accattivante possibile, districandosi tra i paletti che la continuità narrativa impongono. In questo buona parte del lavoro spetta agli sceneggiatori, nelle cui mani risiedono le aspettative di uno sterminato numero di fan. Ad occuparsene i fratelli Kasdan, mentre la regia è affidata all’esperienza di Ron Howard; come buona costumanza per la saga, e per i personaggi più iconici del fantasy in genere, a ricoprire il ruolo del protagonista Solo un attore ancora  non troppo conosciuto (Alden Hhrenreich) che non possa offuscare l’aurea del personaggio. Harrison Ford che ricoprì il ruolo nel 1977 fu tra i pochi capace però di scrollarsi di spalle il peso del ruolo, camminando autonomamente per tutta la sua carriera. La stessa intenzione sembra averla anche Emilia Clarke, la Daenerys de “Il Trono di Spade”, sicuramente l’interprete del momento tra quelli presenti nel cast, su di lei è costruito il personaggio più misterioso, ambiguo e interessante della pellicola.

L’incontro con Chewbecca, il Millenium Falcon, e la nascita della ribellione contro l’Impero, sono questi i punti cardine che tenevano in piedi l’attesa per questo secondo prequel dello Star Wars Anthology. Ma chi si aspettava un approccio più solenne verso tali avvenimenti non può che restare perplesso rispetto alle scelte fatte dalla sceneggiatura. Vige infatti una linea più leggera che molto si avvicina alle intenzioni dei produttori della Disney, di una visione decisamente aperta alle famiglie (invero in passato la medesima non disdegnava la psichedelia e  sfumature i inquietanti all’interno delle proprie opere d’animazione) ricalcando in questo modo il modello Marvel (anch’essa in mano al colosso) che ora va per la maggiore soprattutto oltreoceano. Il film non può non toccare questi punti, ma la loro trattazione è alquanto marginale, sacrificata per una vicenda che devia su altri aspetti, e di cui essi appaiono solamente come innesti. Se riagganciarci allo Han Solo del 1977 seguendo uno schema alternativo può essere considerato un nobile tentativo, e altresì vero che la trama sembra costruita con pezzi di cose già viste, e le sequenze d’azione, frequentemente fini a se stesse, contengono un alto contenuto spettacolare, ma comunque lontane da essere considerate epiche. Quelle che avrebbero potuto esserlo, come il reperimento del Millenium Falcon e l’incontro con Chuwbecca scivolano via senza lasciare nulla, sbolognate velocemente e grossolanamente. Interessante invece il frammento riguardante l’attribuzione del nome Solo, che rimanda alla registrazione dei migranti a Ellis Island, storicamente il primo approdo per chi sbarcava a cercare fortuna sul suolo americano. Come ugualmente felice è il momento in cui viene a svelarsi la nascente ribellione, in una sequenza dal sapore western che attinge da Kurosawa e Mad Max. Ma il film non sembra parlarci di rivoluzione, piuttosto di sopravvivenza, tutti gli interpreti principali, e soprattutto i giovani innamorati lottano per essa. E se per alcuni di loro, già lo sappiamo, sfocerà nella ribellione, sarà per quel desiderio di libertà che può  trasformare un piccolo ladruncolo di quartiere a diventare qualcuno destinato a qualcosa di più alto.

L’impressione generale che suscita l’opera è di un occasione mancata. Invece ci cercare un approfondimento o colmare le parti mancanti, la sensazione è che si sia cercato soltanto di gettare le basi per nuovi capitoli, utili soprattutto agli investitori per rientrare delle spese fatte. Un peccato perché è forte il timore che questo Solo, ricco di potenzialità, non verrà ricordato.

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