Generalmente si pensa alle grandi opere d’arte del passato come a delle entità definite in ogni parte dall’artista creatore e poi consegnate alla storia nella loro forma immutabile e codificata. Questo tuttavia non è sempre vero, specialmente nella musica. Basti pensare, per citare un esempio, alla Messa in si minore di Bach, che non fu mai eseguita né ascoltata dall’autore in vita nella stessa forma in cui viene correntemente eseguita in concerto. In epoca barocca infatti spesso le musiche per le funzioni religiose venivano assemblate unendo singoli brani, adatti all’accompagnamento delle varie parti del rito (come del resto si fa ancora oggi, con i canti proposti nel repertorio liturgico, a Messa). Per questo il Vespro di Antonio Caldara che l’orchestra dell’Academia Montis Regalis e il coro Maghini hanno eseguito al Festival Mito il 15 settembre ed hanno presentato a Mondovì venerdì sera, in una prova aperta al pubblico, in realtà non esiste.
Ovviamente nel senso che non è codificato da nessuna parte: l’operazione condotta dal maestro Alessandro De Marchi ricostruisce le consuetudini esecutive dell’epoca: il concerto “Magnificat” propone al pubblico l’ascolto delle musiche di una funzione di Vespro, come avrebbe potuto costruirla il celebre compositore sei-settecentesco Antonio Caldara. Sul programma ci sono alcune tra le più belle pagine del prolifico musicista veneziano. L’ultimo numero sul programma, che dà il titolo all’intera serata, è “Magnificat” non a caso. Si tratta di una delle composizioni più note, anche ai contemporanei, di Caldara. Molta della sua fama è dovuta anche al fatto che ne esiste una riorchestrazione di Johann Sebastian Bach, che lo studiò nell’ultima parte della sua vita. Al concerto, oltre all’orchestra dell’Academia Montis Regalis, diretta da Alessandro Marchi e al Coro Maghini, diretto da Claudio Schiavazza, hanno partecipato il soprano Hanna Bayodi-Hirt, il controtenore, Alessandro Giangrande, il tenore Massimo Lombardi e il basso Antonio Abete. Le modalità dell’esecuzione, come nella tradizione dell’Academia, erano conformi alle prassi esecutive storiche, con strumenti d’epoca (in organico erano presenti violini, clavicembalo, organo, ottoni e legni in forma antica, l’organo e un arciliuto). Il direttore Marchi, al termine dell’esecuzione integrale dell’opera, avverte il pubblico:«Avete assistito a un concerto non perfetto, c’è qualcosina da aggiustare e ora ci fermeremo ancora per sistemarla», naturalmente però si tratta di piccole cose. Qualche dinamica da definire, qualche chiaroscuro da mettere a posto, qualche voce più o meno in risalto. Qualche attacco, in particolare l’inizio di un brano, che presentava complessità ritmiche particolari, ha dovuto essere eseguito più volte (incidente che del resto può capitare anche in un concerto vero e proprio).