Manca poco meno di un mese alla prima data dell'edizione 2018 del Festival dei Giovani musicisti europei. La 3ª edizione di un Festival sempre in crescita, che comincia ad avere un suo piccolo prestigio nell'ambiente classico europeo, e che ha vinto la scommessa con il pubblico monregalese in questi tre anni, riempiendo con le sue proposte la sala del Circolo di Lettura di Piazza. L'organizzazione di questo piccolo gioiello è affidata interamente alle mani di tre persone. Maria Luisa Milanese, presidente dell'Associazione Linus Cultura, che mette al servizio del Festival la sua indispensabile esperienza logistica e imprenditoriale, Grazia e Lutz Lüdemann, che sono i promotori e gli ideatori di questa iniziativa. In particolare è Lutz, con la sua lunga esperienza nella radio di Colonia e Stoccarda e come segretario generale dell'Orchestra Sinfonica di Vienna a garantire una lucida visione alle spalle di una proposta difficile e coraggiosa per un pubblico popolare, specie in una città in cui l'opportunità di alto livello di confrontarsi con la musica antica c'è già da anni. Ha accettato un incontro per scambiare qualche battuta sulla sua esperienza, sulla sua idea della fruizione musicale e sull'impronta che cerca di trasmettere al suo festival.
«Per trent'anni, grazie al mio lavoro presso la radio e presso l'Orchestra Sinfonica di Vienna ho avuto l'opportunità di conoscere il mondo della musica da vicino. Vienna, Londra e Parigi sono centri nevralgici, in cui tutti i musicisti vengono volentieri. Si ha la possibilità di avere un panorama completo sull'offerta musicale internazionale. Negli ultimi dieci anni, lavorando come capo della sezione musicale alla radio di Stoccarda, ho vissuto il periodo più divertente, a contatto con tutti i generi di musica. Con la fusione della radio di Stoccarda e la radio di Baden Baden ho colto l'offerta di ritirarmi, anche perché per motivi familiari eravamo sempre più spesso a Vicoforte. Una volta qui ho continuato a lavorare, come consigliere, e poi ho iniziato a collaborare con l'Academia, ma poi mi sono discostato perché mi sono reso conto che la mia attività non rispecchiava quello che era l'Academia: è una bellissima realtà, ma pensavo che non sapesse "vendere" adeguatamente la propria proposta. La rigidità negli orari, sempre alle 21, e i programmi troppo elitari, offerte, che potevano riscuotere successo a un pubblico torinese, non erano adatte alla platea monregalese. Così abbiamo pensato di realizzare qualcosa dedicato ai musicisti giovani. Il primo anno avevamo pensato di organizzarlo insieme al Museo della ceramica, ma le sale erano troppo piccole così ci siamo rivolti al Circolo di Lettura. Volevamo fare una cosa nuova, mettendo a frutto le esperienze maturate nella mia vita musicale: programmi che non andassero mai oltre l'ora di concerto, l'orario della Matinée, che è consolidata nella tradizione viennese ma abbastanza sconosciuta in Italia, e un aperitivo per concludere il concerto, in questo modo si cercava di esaltare anche il lato sociale del ritrovarsi per ascoltare musica. A questo punto abbiamo cominciato a cercare finanziamenti. Solo con il fund raising siamo riusciti a raccogliere un terzo della somma necessaria, il resto è stato messo dalla Fondazione Crc e da vari Enti, così è nata la prima edizione, quella del 2016, con tre concerti». Quello che accade in quei giorni è stato sorprendente, a detta di tutti. «Non so se sia stata la curiosità, la voglia di musica, un fatto sociale... La sala era gremita, quasi più della capienza consentita – ricorda Lutz –. Il solista era circondato dal pubblico, un'atmosfera incredibile, commovente. Mai nella vita ho avuto una sensazione così soddisfacente, dopo tanto lavoro e discussioni con banche e istituzioni». «Credo che l'assenza del podio abbia giocato un ruolo importante per creare un rapporto più diretto con il pubblico – osserva Grazia Lüdemann – l'atmosfera si è fatta più familiare, meno paludata e la gente l'ha percepito». «I consensi sono stati molto forti – continua Lutz – e i contributi sono aumentati così la seconda edizione ha potuto essere più ricca».
Il principio alla base del festival è offrire una vetrina a giovani talenti, italiani ed europei?
«Abbiamo scelto il tema dei giovani tra i venti e i trent'anni, osservando il mercato, tenendo d'occhio principalmente i concorsi internazionali, tutti gli anni cerchiamo di proporre al pubblico una scelta dei migliori disponibili in quel momento. Molti che sono venuti negli anni passati e si sono trovati bene ci chiedono di tornare, ma sarebbe contrario allo spirito del Festival. In ogni caso con molti abbiamo ancora contatti frequenti, ad esempio Sophie Pacini sarà alla conferenza stampa di presentazione del programma. Cerchiamo sempre di mantenere l'equilibrio tra la scelta di giovani talenti italiani, che sono tanti, con quelli provenienti dal mercato europeo, che è più intenso e ricco di possibilità. D'altra parte in Germania, ad esempio, anche città delle dimensioni di Mondovì hanno una vita musicale molto attiva, con grande partecipazione del pubblico».
Quali sono i vostri progetti per il futuro del festival?
«Vorremmo consolidare questo Festival, se i monregalesi, l’Amministrazione, gli Enti e le Fondazioni sono d’accordo e vogliono continuare ad appoggiarlo. Senz’altro diventerà più caro, perché non ci saranno più tre idealisti come noi, se c’è un giovanotto disponibile siamo contentissimi di aiutarlo per due o tre anni perché continui. Se non abbiamo successo siamo pronti a chiudere senza rancore, ma i monregalesi devono capire che se vogliono questo Festival devono contribuire: finora da questo punto di vista non abbiamo avuto problemi, ma il nostro impegno organizzativo è gratuito. Questo Festival può rendere internazionale Mondovì, interessa tutta l’Europa e ha intessuto dei legami e dei contatti con diversi enti in Europa. Questo Festival fa bene a Mondovì, perché apre le porte, ci sembra necessario».
Nella musica colta spesso è importante anche avere uno spazio per informare il pubblico di cosa si sta per ascoltare, presentare brevemente i pezzi e l'artista. Nel festival dei Giovani Musicisti che soluzione avete adottato?
Viene un professore di Torino, molto preparato, Marco Ravizza. Fa introduzioni molto ben fatte, anche se un po' troppo "seriose" secondo me. è importante per sciogliere l'atmosfera, non voglio la classica situazione in cui tutti devono stare fermi immobili e in silenzio assoluto. Ben vengano i bambini! Quando ha suonato la Pacini ha fatto mettere tutti i bambini dietro di lei, perché vedessero le sue mani. Mi piace l'atmosfera sciolta, non sono mai stato il tipo che va a sentire la musica indossando la cravatta.
Come si orienta in un mercato ampio e complesso come quello dei giovani musicisti?
Osservo la musica europea, guardo prima di tutti i concorsi. Poi le agenzie, chi fa i programmi, guardo cosa c'è in giro. Bisogna avere dei legami dei contatti e seguire il "naso". Non bisogna nemmeno fare un programma troppo rigido e concettuale, ma lasciarsi influenzare. Poi, naturalmente, i dischi: è importante tenere d'occhio anche il mercato discografico. La Pacini è uscita di recente con due belle incisioni Schumann-Beethoven e "In Between" in cui suona un programma con brani di Schumann e della moglie, Clara Wieck. Aveva fatto la stessa cosa con la musica di Mendelssohn e sua sorella, idee molto interessanti. Non è un lavoro di quindici giorni, naturalmente. In molti casi il programma dipende dal solista. Una delle cose belle del festival è il dialogo con i musicisti: spesso, essendo molto giovani, non sanno vendersi. In molti casi mettono i pezzi in scaletta con un ordine poco accorto, talvolta suggerisco di spostare un brano. Bisogna essere aperti e sciolti per capire la musica, questa è la mia esperienza. Poi non sempre il pubblico ti segue naturalmente. L'unico momento veramente scioccante della mia carriera è stato quando con l'Orchestra sinfonica di Vienna abbiamo programmato "Le Sacre du Printemps" di Igor Stravinsky. Gli abbonati si sono alzati e se ne sono andati. Eppure è un pezzo fondamentale della storia della musica. Si vede che volevano sentire per la cinquantesima volta la quinta di Beethoven.
Come ha cominciato ad appassionarsi alla musica?
È stata mia madre a trasmettermi la passione per la musica. Lei era molto appassionata. Ricordo che aveva un’edizione della 5ª sinfonia di Beethoven con l’orchestra di Berlino diretta da Furtwangler. Erano cinque vinili con l’esecuzione, ancora oggi quando risento la sinfonia ricordo bene i punti in cui era necessario girare il disco. La ascoltava mentre faceva le pulizie di casa. Mio padre era un appassionato di tecnologia, voleva sempre la radio più grande, il modello migliore. Aveva la radio più grande di tutto il paese, tant'è che in tempo di guerra sono venuti subito a requisircela. Mi ricordo questa radio enorme, che diffondeva musica per tutta la casa.
Poi ha iniziato a studiarla?
Ho studiato canto lirico all'Accademia di Vienna, Germanistica e Scienze Teatrali all'università di Tubinga. Dopo due anni, visto che mi affascinavano di più le scienze teatrali della lingua tedesca, con tutti i suoi dialetti, mi hanno consigliato di andare a Vienna, dove c'era un dipartimento molto famoso dedicato al Teatro. Così ho fatto la mia tesi sul coro del dramma medievale. La mia formazione musicale è legata al canto lirico.
Le città tedesche hanno conservato la loro particolare vitalità musicale?
Certo è rimasto intatto: ogni città ha il suo teatro con un pubblico di abbonati, tutta la borghesia medio-alta ha i suoi abbonamenti ai concerti, all'opera, alla musica da camera. Mondovì deve capire che senza cultura non c'è progresso. Se ci pensiamo anche a Stoccarda c'era un famoso detto: "Non abbiamo bisogno di musica, abbiamo bisogno di patate". Qui in Italia un politico aveva detto che "Con la cultura non si mangia": queste sono visioni completamente sbagliate delle esigenze umane. L'uomo ha bisogno dell'arte come ha bisogno dello sport. Ha bisogno di una cultura. Fortunatamente qualcuno comincia a capire.
Quali sono le sue idee riguardo alla musica moderna e contemporanea?
Deve sapere che quando ero a Colonia dovevo gestire il budget dello studio di elettronica, che era diretto da Stockhausen. La musica contemporanea è più avanti del gusto del pubblico, 200-300 anni fa non era così. D'altra parte dobbiamo riconoscere che il lavoro del compositore è come quello del pittore. Spesso si esprimono in modo tecnico, e creano mondi non sempre armonici e simpatici. Devono avere più sensibilità del pubblico, il pubblico preferisce sempre quello che conosce, che gli è familiare. L'arte moderna in genere ha più difficoltà di 200 anni fa, ma perchè siamo in una fase di grande sviluppo tecnologico. La tecnologia domina, questo è un fattore freddo, un fattore di povertà mentale. Il livello del pubblico non è quello di tanti anni fa. Nelle scuole non danno più l'educazione che abbiamo avuto noi, con le basi culturali pesanti ma anche solidissime che abbiamo avuto. Oggi non è più possibile avere questo. In Germania, tuttavia, il pubblico continua a frequentare i concerti, perché generalmente i tedeschi sono molto sociali. Gli italiani sono più individualisti.
Ci sono compositori di musica contemporanea per cui ha un particolare interesse?
Luigi Dallapiccola e Sergio Rendine. Rendine è un compositore di tanta fantasia, ha fatto cose meravigliose, ad esempio la sua opera "Alice"