La Locandiera di Carlo Goldoni, composta nel 1753, è la più celebre opera dell’autore e una delle commedie più importanti della storia del teatro, non solo italiano. L’opera è infatti il vertice della riforma goldoniana che, in quegli anni, abolisce il teatro delle maschere in favore di un teatro di personaggi, molto più complessi e sfaccettati. Sullo sfondo c’è anche il tema illuministico del contrasto tra la borghesia produttiva e la nobiltà improduttiva, schematizzato soprattutto nei due ruoli più nettamente comici del Conte parvenu e dello spiantato Marchese; ma la vera protagonista è naturalmente lei, Mirandolina, come anche questa messa in scena chiarisce (da notare ad esempio la simbolica scena finale, coi sei altri personaggi che ruotano in ombra attorno a Mirandolina/Sandrelli illuminata). Personaggio “femminista” antesignano, donna libera che non vuole essere limitata dagli uomini che cercano di ricondurla sotto il loro controllo, la figura della Locandiera è complesso e sfaccettato, e questo lavoro di Francesco Niccolini ne rende pienamente ragione, partendo dalle intuizioni già sviluppate da Visconti, che ne dà una sua versione nel 1952.
Mettendo da parte la visione legata alla Duse (che, ovviamente con altra opera, aveva esordito sedicenne a Mondovì nel 1874), che voleva una locandiera piena di “brio, brio, brio”, Amanda Sandrelli ne mette in evidenza la poliedricità caratteriale, le complesse sfumature psicologiche che convivono nel personaggio, e grazie alle quali Goldoni dimostra pienamente le sue ragioni nel superare la maschera (come sarebbe stata, in questo caso, una più anonima Colombina). Indipendenza, misantropia, attrazione, antipatia: varie spinte convivono nell’atteggiamento della protagonista verso la figura del Cavaliere, ben interpretato da un bravo Alex Cendron. Ne emerge una versione che, pur restando fedele alla lettera del testo originale, minimamente interpolato (ad esempio nella concessione “realistica” a qualche rara scurrilità ove necessario) e mantenuto nella originale cornice settecentesca, ne dà una lettura molto forte, connotandone con chiarezza il sottotesto “tragico” dell’infelicità a cui si condannano tutti i personaggi, sotto la patina del finale giocoso. Un bell’inizio, dunque, per la nuova stagione teatrale monregalese, che sceglie questa volta di reintegrare testi del repertorio “classico” (assenti dalla scorsa stagione), che tornerà anche più avanti nel “Mercante di Venezia”.